L’ex crisalide di Omaha

 

  

L’uscita del primo vero disco solista dell’ex enfant prodige dell’indie statunitense Conor Oberst è stato un evento molto più significativo di quanto si potrebbe immaginare. Non ha tutti i torti chi ha sempre considerato gli album dei Bright Eyes altre opere di Oberst da solista, come non ha tutti i torti chi ritiene questo ‘Conor Oberst’ un nuovo disco dei Bright Eyes. C’è del vero e c’è del falso in entrambe le affermazioni. Innanzitutto è innegabile il ruolo da sovrano assoluto che il ragazzo ha sempre ricoperto nella band, in pratica un’incarnazione tutta sua e sua solamente. E’ anche vero, però, che nel nuovo album permane una netta fisionomia di gruppo a supportarlo e, se vogliamo, il disco è licenziato a nome di Conor con la fantomatica Mystic Valley Band. Sfumature, insomma. La verità è che Oberst ha sempre amato circondarsi di fedeli e capaci collaboratori, spesso e volentieri autentici multistrumentisti come l’indispensabile Mike Mogis, alias mr. ‘Lullaby For The Working Class’, uno che ha insegnato molto del mestiere al titolare della ditta. Nella recente esperienza si scorgono nomi importanti di questo vasto circolo di sodali, primo fra tutti l’amico gay Andy LeMaster, alias mr. ‘Now It’s Overhead’, un altro musicista preziosissimo anche in fase di produzione, oltre all’immancabile Nate Walcott, pianista e trombettista sempre a disposizione

 

Al di là di questi piccoli dettagli (che in fondo tanto piccoli non sono), appare evidente come questo disco sia rimarchevole per più di un motivo. In primis perché si tratta di un ottimo lavoro, ben scritto, ben suonato, molto convincente a livello emozionale, con difetti tutto sommato trascurabili. E poi – e questo è ciò che veramente conta – perché rappresenta per il suo autore un balzo in avanti sostanziale, sia in termini di creatività spicciola che di atteggiamento. ‘Lenders in the Temple’ conferma in pieno tutti i canoni del songwriting scarno di Oberst ma li condensa in una convinzione diversa da quella che lo ha animato (e un po’ squalificato) in passato. Come e più che nel gioiello assoluto ‘I’m Wide Awake, It’s Morning’ e nel buon seguito di ‘Cassadaga’ Conor dimostra finalmente una maturità e una sincerità nelle quali solo qualche anno fa non avremmo nemmeno osato sperare. Nascosto dietro la trama soffusa della canzone, con relativa fascinosa chitarra, l’ex eterna promessa di Omaha si presenta in tutta semplicità come quel che è oggi, un cantastorie assolutamente spontaneo e genuino. La sua scrittura è ispirata, sofferta ma non fredda, riflessiva senza risultare noiosa, emozionante anche se non cerca più l’appiglio della comoda teatralità.

Le altre canzoni rafforzano l’impressione di un autore che dopo molti tentativi è riuscito ad essere se stesso senza sovrastrutture e senza atteggiamenti fastidiosi. Un talento fuori dal comune questo quasi trentenne lo ha sempre avuto, non avrebbe scritto pezzi come ‘A Scale, a mirror…’, ‘The Movement of a Hand’, ‘False Advertising’ o ‘You? Will…’ altrimenti. L’intero ‘Lifted’ era in fondo un grande monumento del suo genio e al suo genio, tanto generoso quanto irrisolto e nei fatti un po’ troppo adagiato su di sè e sulla sua bellezza per convincere a pieno. Bene: la notizia allora è che Conor Oberst ha smesso veramente di specchiarsi in queste sue grandi doti e di infarcire i propri dischi di estetizzazioni e pose fasulle. Il piano blues e il ritmo serrato di ‘I Don’t Want To Die (In The Hospital)’ diventano qualcosa più di un’ipotesi sonora, servono a realizzare un brano quanto mai importante perché liberatorio, trascinante e divertente senza residui di spocchia e senza intellettualismi: alleggerisce, disimpegna e fa colore senza chiedere grandi sforzi al suo autore.

 

La maniera è un ricordo ormai. Con la sobria cavalcata di ‘Danny Callahan’ Oberst osa qualcosa in più, regala un discreto assolo evitando di eccedere come un protagonista assoluto e dribblando le sbrodolature. Si lascia apprezzare, aggiunge varietà, lascia andare a braccetto l’elettrica ed il piano facendosi aiutare dal coro. La sensazione è quella di un leader che ha abbandonato la torre d’avorio per scendere a divertirsi e divertire, con un rock non travolgente ma sincero e un po’ fracassone (‘Souled Out!!!’, ‘NYC – Gone, Gone’), con fugaci divertissement che sembrano filastrocche innervate di sanguigne vibrazioni (‘Moab’), oppure sfoderando un country-folk che non dispiacerebbe a Will Oldham (‘Sausalito’), con bella carica e respiro classico. E i cari vecchi Bright Eyes? Ci sono pure loro. In ‘Get-Well-Cards’ la chitarra disegna una trama così intrigante da essere perfetta per il cantante e la sua voce, autorevole e sicura del fatto suo come non mai. Secco, senza fronzoli come da copione, Conor va dritto al cuore e gioca la carta di un’emotività scoperta, spigliata, diretta. ‘Eagle on a Pole’ prosegue la tradizione delle più tipiche fra le canzoni oberstiane, con la voce tremula ed uno splendido, arioso sviluppo: un folk-rock intensamente comunicativo ed emozionante, architettato per accendersi ad intermittenza con pochi lampi (come il bell’assolo) e sonorità evocative. Anche il consueto incipit sussurrato ed essenziale (‘Cape Canaveral’) funziona a dovere e scalda il cuore come un antipasto cui si è particolarmente affezionati, prima di un sontuoso pranzo in famiglia.

 

E poi il finale di ‘Milk Thistle’, anch’esso ad altissimo coefficiente di tipicità. La più soft delle chiusure, la più riconoscibile tra quelle che Conor aveva a disposizione. In punta di chitarra, delicata, in tonalità più notturne ma non meno brillante degli altri episodi. Praticamente una partita sul campo dell’infanzia, dove ogni zolla di terreno è ferma al posto in cui la ricordavate. Questo è davvero il classico pezzo dei Bright Eyes, quello che a Conor riesce ogni volta miracolosamente bene. Sembra facile, ma provateci voi a imbambolare a tal punto chi vi ascolta. Ci vogliono tutta la bravura e la credibilità che sono solo dei grandi cantautori. Provateci voi a volare così. Dovreste essere una farfalla, per farcela.

0 comment

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *

Comment *