Un disco divertente

 

Se siete alla ricerca di un disco easy che non suoni pizzoso, che guardi al passato senza che questo si traduca per forza in un attacco di orticaria sulla vostra pelle modaiola, un nome da proporvi ce l’ho: Gentleman Jesse and His Man. Chiunque abbia scritto di questo omonimo album d’esordio uscito qualche mese fa ha parlato con molta disinvoltura di power-pop, genere che, per quanto riguarda il sottoscritto, ci azzecca meno di zero. Al solito, uno lo scrive e cento altri lo confermano senza forse nemmeno preoccuparsi di verificare se quell’etichetta corrisponda a verità. Così i Gentleman Jesse and His Man fanno del buon power-pop a detta di tutti, a cominciare dal generoso recensore di Pitchfork, mentre la realtà non è esattamente questa. Stiamo parlando di un curioso quartetto di Atlanta, formazione derivativa nata da una costola della band garage The Carbonas, ottima concittadina dei Black Lips – genere che evidentemente da quelle parti al momento va per la maggiore – e autrice di almeno un disco di tutto rispetto (‘Carbonas’, anno 2006). Bene, quest’ultima informazione è interessante ma assolutamente ininfluente in una breve dissertazione sui Gentleman Jesse and His Man, ragion per cui potete disfarvene come se non l’aveste mai ricevuta. Tornando al discorso precedente, mi preme ribadire che non di power-pop si tratta – etichetta usata il più delle volte per sminuire un lavoro che non per riferirsi ad una determinata cifra espressiva – bensì di schietto pop rock. Venendo all’album in questione mi sembra doverosa una semplice premessa: non è proprio qualcosa di stratosferico, né un’opera rivoluzionaria, tutt’altro. Però non si può negare che ‘Gentleman Jesse and His Man’ sia una divertentissima raccolta di brani, piacevolmente revivalista e piuttosto intelligente nell’approccio scelto, in una proposta che fa della semplicità la sua arma migliore senza per questo risultare banale o scontata.

 

E’ un disco perfetto come sottofondo. Non lo dico per screditarne le qualità. Sostengo anzi che per certi album già questa sia un’ottima conquista, un risultato al quale non tutti possono ambire. Un disco perfetto come sottofondo piacevole e non cretino, perfetto per ascoltare musica non troppo impegnativa ma comunque sufficientemente stimolante. Non è poco. Soprattutto ‘Gentleman Jesse and His Man’ centra in pieno questo tipo di bersaglio e non delude dopo parecchi ascolti di concentrazione a scartamento ridotto (ma non troppo). Al centro di tutto c’è il basilare monolite rock, “voce – chitarra – basso – batteria”, concepito e strutturato con una saggezza in termini di equilibrio che ha del prodigioso. Non c’è spazio per altro, esplorazioni esotiche, appesantimenti di sorta, sciccherie sonore all’ultimo grido, complicazioni o semplificazioni elettroniche. Niente. Un po’ come una dieta rigenerante e depurativa, back to the basic e stop. Già questo vale un plauso. La purezza e l’osservanza della formula originaria è inattaccabile. Aggiungiamo l’ostinazione citazionista che coivolge anche il piano iconico, con quell’ironica copertina che strizza l’occhio al memorabile Costello di ‘This Year’s Model’. Anche l’apertura di ‘Highland Crawler’ guarda apertamente a quel periodo, con uno scoppiettante mix di Clash, Wire e mille altri che, al di là della scorza dei suoi elementari riffettini e di un senso di strasentito, non riesce a risultare né fastidioso né antipatico.

 

Scrivo di ‘Gentleman Jesse and His Man’ mettendo in automatico le mani avanti, sistemando in bella vista su questo ideale scaffale tutti i difetti che posso trovare, salvo poi farmi beffa di me stesso brandendo la puntuale condizione avversativa come una spada fiammeggiante. Di ‘The Rest of My Days’, per dire, potrei tagliar corto sostenendo che il pezzo è sì fresco e gradevolissimo ma per nulla originale, con le sue chitarrine veloci che si alternano in alcune tra le uscite più abusate nella storia del rock’n’roll. Però dovrei chiudere comunque con un “eppure…”. Eppure funziona…eppure sta proprio lì il bello…eppure e ancora eppure. Di ‘You Don’t Have To (If You Don’t Want To)’ dovrei scrivere che si tratta dell’ennesimo pezzo catchy dell’album, con refrain riconoscibili al primissimo ascolto e relativo assolo alla camomilla. Ma mi vedrei costretto a continuare con un “ma” o similia. Ma non si può non lasciarsi trasportare…ma è impossibile non muovere il dito come Homer Simpson…ma e ancora ma. Anche per ‘Put Your Hands Together’ farei fatica a non indirizzare direttamente al rock dei seventies, rilevando un taglio nel complesso abbastanza edulcorato. Ma mi scapperebbe senz’altro un “tuttavia”. Tuttavia ha un suo carattere…tuttavia si sente anche il presente…tuttavia e ancora tuttavia.

 

Questo solo per restare ad alcuni tra i brani forse meno brillanti dell’album. Quando questi ragazzi decidono di rifarsi agli anni ’60 il livello migliora ancora, se possibile. Ingannando con la stessa impressione di ordinarietà nell’”operazione recupero” che nasconde in realtà una genuina e naturale eccellenza. ‘Butterfingers’, ‘I Get So Excited’ e ‘You Got Me Where You Want Me’ sono solo alcuni esempi, pescati a caso nel mazzo, di come questo rockettino passatista possa fare centro secco con pochi ingredienti ben dosati, giocando le proprie carte senza grosse pretese ma anche senza particolari sovrastrutture intellettualistiche. La leggerezza assoluta, l’immediatezza e la simpatia restano i migliori pregi di questo bel dischetto, la cui chicca assoluta rimane comunque ‘All I Need Tonight (Is You)’, traccia numero tre, un brano che cita pesantemente (e divinamente) i primi Beatles e non se ne vergogna: in anni in cui solo i Fab Four post-1964 sembrano degni di interesse, questa resta una piacevole variante revivalista, assolutamente irresistibile. Un po’ come tutte le canzoni che albergano dentro ‘Gentleman Jesse and His Man’, una collezione di tredici estemporanei esercizi di stile pienamente riusciti.

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