Dalla Portland che non ti aspetti…

 

Quante volte abbiamo sentito parlare di Portland in riferimento a tanta bella musica più o meno indipendente? Sta diventando il centro di una vera e propria scena, uno dei nuovi punti di riferimento per l’indie ed il folk di questi ultimi anni. Quando ho letto che anche Chriss Sutherland è di Portland non ci ho neanche fatto caso, per i motivi di cui sopra. In questo contesto, l’ennesima rivelazione del folk statunitense casca a fagiolo e sembra perfettamente inserito, ultima di tante efficaci sensazioni venute fuori dall’Oregon. E invece no, un dettaglio sfugge. E’ Portland sì, ma quella che sta dall’altra parte, quella del Maine. Allora ecco, i conti sembrano non tornare affatto. Da dove nasce questa schietta vena cantautoriale, febbrile ed infettata da un’anima che diremmo profondamente latina? Spostato un po’ a sorpresa sulla costa atlantica, Chriss Sutherland assume i più vividi contorni del fulmine a ciel sereno. Andiamo con ordine. Questo ‘Worried Love’, secondo album in proprio dopo alcune esperienze di gruppo che lo hanno visto in campo addirittura per la Young God del grande Michael Gira, parte con ‘Flaking The Hands’ all’insegna di un folk croccante ed appassionato, che integra una trama di chitarra alquanto serrata ad un’altra più aggraziata, mescolando anche la voce calda e un po’ ruvida del cantastorie ad una femminile che ingentilisce il tutto. E’ una formula che ritroveremo di continuo anche nelle tracce seguenti e che rappresenta al meglio l’umore e il carisma di questo artista, tra fragranze sixties west coast che fanno tanto Tim Buckley ed un’indole caparbia e molto autentica. ‘What Are We Gonna Do Now?’ insiste con la medesima impostazione ma ha un aspetto ancora più classico e Dylaniano: pianoforte a supporto, un’elettrica che illumina e lascia il segno anche senza farsi lancinante, l’intatta capacità di conquistare al primo ascolto (e non è da tutti) grazie ad un bel respiro, alla franchezza e all’assenza di urticanti sovrastrutture intellettualistiche. Non ci sono i belletti formali fasulli che spesso i folksinger emergenti adottano strizzando l’occhio al pubblico più facile e meno esigente. Prevale una spontaneità che è sufficiente per non far pesare questi oltre sei minuti, rendendoli leggeri e traducendoli in un bel trasporto per chi ci si abbandona, senza rischi di prolissità.


Le premesse sono dunque molto positive e  ‘New Morning Pine St.’ aggiunge un ulteriore tassello al mosaico della benemerenza di questo sconosciuto Sutherland, virando verso fraseggi ancora più scarni e personali, bagnati da uno spleen comunque sincero e non incline al compromesso con il maledettismo di comodo. Ci sta simpatico Chriss, uno che porta le sue canzoni senza curarsi troppo di come vanno il mondo e le mode. Potrà piacere agli estimatori di Devendra e della New Weird America tutta, non fosse che il barbuto del Maine se ne sta per conto suo al di là di etichette e movimenti forse già sfumati prima di nascere seriamente, prima di poter rappresentare qualcosa più che il mero esercizio di una critica a corto di fantasia. Il disco parrebbe a questo punto aver assunto una propria fisionomia ben delineata ma con ‘Volando Voy‘ arriva uno scossone inatteso: un’immersione completa nell’ambito della canzone messicana, con risultati che vanno ben al di là della trita estetizzazione rilasciando un’interpretazione vera, sentita, caldissima. Al primo ascolto mi sono venuti in mente i Gipsy Kings, e qui ripropongo il nome in mancanza di riferimenti più colti in quell’ambito, data la mia assoluta ignoranza. Chriss è decisamente rustico, perfino un po’ sguaiato, ma si cala nella parte con ammirevole convinzione evitando scivoloni caricaturali e senza lasciar trasparire il minimo calo di tensione. Una meraviglia anche in termini di credibilità (non era facile), quasi a voler far intendere l’esistenza di una seconda anima musicale, sin qui tenuta ben celata all’orecchio dell’ascoltatore per rendere più completa e potente la sorpresa. Qualche minuto più avanti la pacata ‘El Tiempo’ ripropone il folksinger nei panni del charro emotivo e viscerale, confermando la sua preziosa versatilità anche con soluzioni meno accese e più eleganti.

Il resto di ‘Worried Love’ mostra un autore più controllato e capace di limitarsi evitando coloriture espressive eccessive, lasciando valide garanzie sulla propria accresciuta maturità dopo appena due album a proprio nome: ‘Desde Alicant’ ricalca nella sostanza i il ritmo caliente dei brani iniziali ma ha in più alcuni congrui interventi corali che gli consentono di rifiatare; ‘My Mind Blues III’ è più intima, senza fronzoli, semplificata forse, un pelo meno coinvolgente (e più convenzionale), ma ci consegna un’immagine inedita e più rassicurante del cantautore. Prima della chiusura, rileviamo sugli scudi ‘Jolie Holland’ e ‘Without Much Time’. La prima è un intenso omaggio all’omonima cantante, realizzato miscelando in maniera indovinata acustico ed elettrico, ricorrendo ad un assolo alcolico e bislacco, spargendo buoni riverberi sullo sfondo e rendendo in tal modo più viva ed inquieta la canzone (la voce fa fatica qua e là ma in fondo conferma la natura genuina del progetto); la seconda è il più felice compromesso dell’intero disco, una cartolina potente ma non macchiettistica, classica ma personalissima, squillante e meditativa al tempo stesso. ‘Hey Justice’, in coda, è l’unico passo falso dell’album, un lunghissimo e spigliato fraseggio preparatorio che non esplode come da attese ma si smorza un poco per volta evaporando, senza rilasciare veramente tutta la propria tensione. Una piccola delusione forse, un passaggio irrisolto. Ma fosse stata l’ennesima grande intuizione di ‘Worried Love’ non staremmo semplicemente qui a parlare di Chriss Sutherland come del promettente nome nuovo dalla Portland che non ti aspetti.

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