Eels

Life is funnyBut not ha ha funny

       

Forse è stata quella sua barba oltraggiosa a rendermelo irresistibile. Non una di quelle moquette di una settimana che contribuiscono a conferire la tipica aria vissuta a tanti cantanti bellocci, né l’oculata peluria radical chic di certi tipi alla Francesco Bianconi, ma proprio una mostruosa maschera ferina. Gli Eels li conoscevo e apprezzavo da sempre, cioè da ‘Beautiful Freak’, ma per promuovere al rango di personaggio epico Mark Oliver Everett aka Mr.E si rivelò determinante quel che il nostro fece con il quarto disco del suo gruppo di scoppiati, ‘Souljacker’, registrando canzoni scontrosissime e presentando il proprio lavoro con strategia promozionale volutamente suicida, look a metà strada tra un talebano e Unabomber, per un quadretto non proprio rassicurante all’indomani dell’undici settembre. Ci voleva un bel coraggio o una buona dose di follia. Mark queste qualità le ha sempre coltivate entrambe, ed è certo che gli attacchi dello staff di George W. Bush (allora in corsa per la prima presidenza, era il 2000) quando uscì ‘Daisies of the Galaxy’, citato come esempio di turpitudine gratuita e subdola (data la copertina con soggetti infantili), non gli andarono proprio giù. Era un disco toccante e delicatissimo quello, non la provocazione di un cialtrone tra i tanti da bollare con il “Parental Advisory” e censurare nei passaggi televisivi.

La vita sa essere divertente, ma non del genere “da sganasciarsi”. Mr. E lo sa bene, avendo messo a referto in pochi anni una sfilza di lutti da fare spavento. Li ha raccontati nel suo lavoro più straziante, ‘Electro-shock Blues’, per poi tornarci su con mente più lucida e meno disperata nel suo ultimo disco davvero memorabile, la monumentale autobiografia musicata di ‘Blinking Lights and Other Revelations’. Da allora ad oggi, tantissima acqua sotto i ponti ma nulla di veramente importante da dire. Nel commentare il suo ritorno dopo una lunga pausa con ‘Hombre Lobo’, mi ero spinto per la parziale delusione ad azzardare una teoria sui limiti del songwriting di questo autore particolarissimo, tratteggiandone il ritratto come quello di un artista condannato alla ripetizione sfibrante dei propri cliché. I due capitoli successivi della sua discografia – ‘End Times’ e ‘Tomorrow Morning’, passaggi di fatto insignificanti – sembrano purtroppo avermi dato ragione. Questo non significa che gli Eels non meritino attenzione e rispetto. Dal vivo la creatura di Everett è sempre estremamente godibile (e tornerà anzi a metà aprile con l’ennesima data unica a Milano) e poi sì, come ho già avuto modo di scrivere, lo scorbutico con barba e occhiali tondi avrà anche solo tre canzoni riproposte ad oltranza con variazioni infinitesime, ma sempre di belle canzoni si tratta. Forse è proprio questo aspetto a dividere nei giudizi sul gruppo di stanza in California: da un lato una critica da sempre ferocissima nello stroncarne ogni velleità (tranne il leggendario Scaruffi, che li venera), dall’altro un corposo zoccolo di affezionati – me compreso – che anche nei momenti meno ispirati  non hanno mai smesso di sostenere Mark.

        

La buona notizia, parlando di questo benedetto decimo LP a nome Eels, ‘Wonderful, Glorious’, è che di una parziale inversione di tendenza si tratta. Dopo il sorprendente pop-rock dell’ormai remoto esordio, dopo la gelida bellezza di quel seguito così doloroso, dopo le meraviglie elettroacustiche, la sgargiante follia Beck-iana e la stringatezza easy listening dei diretti successori, la ricerca stilistica si era arrestata bruscamente. Senza rinunciare alle idee e alle emozioni, nello splendido doppio album di famiglia di ‘Blinking Lights’, oppure adagiandosi in triti taglia e cuci senza un briciolo di vera anima. Dopo sette lunghissimi anni il circolo vizioso della creatività di Mr. E pare finalmente spezzarsi. Intendiamoci: non siamo dalle parti dei primi meravigliosi lavori perché Mark non ha più nulla di nuovo da inventare, e quelli restano riferimenti troppo proibitivi anche quando gli stimoli possono sembrare quelli giusti. L’assemblaggio però funziona discretamente e anche nei suoi estremi ‘Wonderful, Glorious’ dimostra di possedere una fisionomia abbastanza ben definita. L’impressione immediata, ai primissimi ascolti, è di ritrovarsi a respirare un clima espressivo alquanto vario ma orientato con decisione al minimalismo. Era uno degli aspetti chiave di ‘Souljacker’, disco straordinario e – non mi stancherò mai di ripeterlo – colpevolmente sottostimato. Lo scarno e grezzissimo fuzz blues dell’iniziale ‘Bombs Away’ già lo dice con decisione, e il discorso è ribadito più avanti con appena qualche ombra nostalgica in più (‘New Alphabet’) o con un fare rock caciarone possibilmente anche più a fuoco (‘Stick Together’). La scura perla upbeat di ‘Open My Present’ (con un sottile esotismo tra le sue reminescenze) e il boogie infettivo e flemmatico della vischiosa (per via degli sbaffi di synth) ‘You’re My Present’ accentuano ulteriormente i debiti dietro questa precisa impronta.

Anche grazie al suo fragoroso arsenale percussivo riemerge un tono burbero che è tra le specialità della casa, magari con inclinazione sonora all’autismo (‘Peach Blossom’) ma addolcita in extremis dalle tipiche melodie di marca Eels, appena in tempo per scongiurare il macchiettismo tranchant à la Dr. Jekyll e Mr. Hyde di ‘Hombre Lobo’. Ci sono poi episodi più intensi e toccanti della media (‘A True Original’, ‘The Turnaround’, ‘Accident Prone’) che ricordano in maniera sufficientemente vivida i quadretti tristi ma limpidi che ingentilivano la seconda facciata di ‘Electro-shock Blues’, un sottogenere che a Mr.E è sempre riuscito particolarmente bene. Anche in questa veste intimista e di taglio confidenziale, Everett predilige l’uso parco degli arrangiamenti e una scrittura essenziale, arrivando a esibire in ‘On The Ropes’ uno dei  suoi tòpoi in assoluto più classici, stilizzato ma sincero e senza eclatanti forzature. Non troppo distante quanto a sonorità e umori, ‘I Am Building a Shrine’ riavvicina la magia senza tempo di ‘Daisies of the Galaxy’, offrendosi però dietro uno schermo deformato da tutti gli istinti un po’ lugubri già più volte praticati nei dischi successivi a quello. Non mancano infine gli esperimenti ludici, saltellanti, sfaccettati e felicemente anthemici (‘Kinda Fuzzy’) o la franchezza ben definita à la ‘Shootenanny!’ (ma con un velo di inquietudine in più, almeno nella notevole title-track).

Non certo un capolavoro, quindi, ma un compendio abbastanza riuscito di tanti dei luoghi comuni Eels, riproposti per una volta con un certo cuore e non solo come stanchi esercizi di stile. Quanto basta, tutto sommato, per rallegrarci nella certezza che potremo ancora contare su questo bislacco genio pop-rock..

3 Comments

Hombre Lobo

 

Tra le personali delusioni dell'anno appena andato in archivio tocca infilare senza cattiveria anche la nuova, irsuta confessione dell'uomo lupo dell'indie made in U.S.A. In attesa di quella "fine dei tempi" che a breve magari arriverà a smentire quanto da me scritto nel pezzo di giugno su Monthlymusic, resta l'amara constatazione di un mezzo passo falso dopo il trionfo autobiografico di 'Blinking Lights and Other Revelations'. Certo va chiarita la misura del termine delusione: 'Hombre Lobo' di per sé non è affatto un brutto disco. Per i neofiti dello stile Eels può sembrare anche un lavoro godibile nel suo croccante manicheismo easy listening: come breve compendio della filosofia musicale del suo bizzarro autore funziona a dovere, spaziando con meccanica regolarità dai ruvidissimi e spigolosi bozzetti alla 'Souljacker' alle enfatiche delicatezze di 'Daisies of the Galaxy', riveduto e corretto per l'occasione ma solo nelle intenzioni. Il problema di Mr. E a questo giro è la pochezza – diciamo pure l'assenza – di idee nuove da sviluppare. Everett è stato bravo nel rielaborare un numero limitato di spunti, di loro già alquanto logori visto l'abuso fattone negli ultimi dodici anni, ma il risultato può accontentare solo i fan più accaniti e meno esigenti, quelli che troverebbero il massimo appagamento nell'assistere alla millesima replica del medesimo spettacolo (basta confermarne immutata la formula ed il gioco è fatto). Anche la convinzione questa volta sembra fare difetto, con esiti prossimi al macchiettismo e alla caricatura (soprattutto negli episodi più abrasivi e di maniera, pur se divertenti) sì ché il desiderio evocato nel sottotitolo sa tanto di simulazione, in barba (lunga, lunghissima) alla sincerità del capolavoro eelsiano di quattro anni fa. Un passaggio meno riuscito a base di iperboliche autocitazioni ed ibridi bizzarri come 'All The Beautiful Things' e 'The Longing' (per una lista più accurata di rimandi più o meno sbracati si legga la recensione) ci può stare, specie da un songwriter anomalo e delizioso come Everett. Solo c'é da augurarsi che dopo questa piccola festa del riciclo ai box, il nostro favoloso uomo lupo sappia tornare in pista con le giuste motivazioni, magari radendosi completamente e rispolverando l'improbabile e sfigatissimo cappellaio matto dal cui cilindro sono usciti 'Beautiful Freak' e 'Electro-shock Blues'. Inutile e sciocco pretendere che Mr. E si reinventi di sana pianta, ma aspirare ad un ritorno leggero e non teatrale alla curiosità e alla tenerezza delle sue pagine migliori sembra una richiesta più che lecita da parte di chi lo ama così tanto. I passaggi più riusciti di 'Hombre Lobo' possono fare la loro parte offrendosi come punti di partenza. 'What’s a Fella Gotta Do', 'Beginner's Luck' e – perché no – anche l'irresistibile faciloneria di una 'That Look You Give That Guy': a guardar bene la direzione è già segnata e se è vero che chi ben comincia è già a metà dell'opera, beh… che la fine dei tempi venga dunque!

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