Cyberiade _Letture

       

Il sottotitolo recita “Viaggio comico, binario e libidinatorio nell’universo di due fantageni” e ben inquadra la dimensione gradevolmente farsesca di questa raccolta di brevi parabole allegoriche tra favolistico e fantascienza, che è anche e soprattutto un sofisticato e antintellettualistico divertissement sull’arte del narrare. Non Stanislaw Lem al suo meglio ma comunque un’operina graziosa e molto meno banale di quanto lasci intendere.

 

Già allievi pluridecorati della Scuola di Nullità Nientica Superiore, Trurl e Klapaucius sono costruttori geniali e un po’ folli. Ogni bizzarra invenzione dell’uno o dell’altro accende in entrambi il fuoco sacro della competizione ma finisce per mettere nei guai loro e, in qualche caso, persino la sicurezza dell’intero universo.

 

Pescando a casaccio nel mazzo delle loro avventure o “fatiche”, come ce le presenta l’autore enfatizzandone ironicamente la portata epica: una macchina ideata apposta per riprodurre in replica perfetta tutto ciò il cui nome inizia con la lettera enne impartisce ai due una sonora lezione di logica; un’altra dovrebbe essere uno smisurato automa pensante, alto la bellezza di otto piani, ma si rivela nulla più che un ammasso di acciaio incapace di risolvere i più elementari quesiti matematici e, per giunta, permaloso e violento come il più insulso degli stupidi; c’è poi un bardo cibernetico inventato per assicurare al suo creatore l’agognato trionfo in qualsivoglia certame di poesia, ma si dimostra presto una minaccia generalizzata a causa della sua eloquenza e di una inclinazione al sentimentalismo semplicemente incontenibile; un piccolo demone di seconda classe messo insieme in quattro e quattro’otto riesce invece a prosciugare la mostruosa sete di conoscenza del pirata interstellare Pugg con un torrente inarrestabile di informazioni inutili; e poi gingilli che ammansiscono eserciti, che gabbano i più esigenti cacciatori di prede, che dovrebbero riportare il senno in principini perdutamente innamorati dell’imperatrice sbagliata; e, ancora, un autentico gioiellino in forma di novella per cosmonauti, quello del giocondo e inventivo popolo dei Ferrolini, aiutato da Trurl a sconfiggere una misteriosa insidia esterna con la sola forza della burocrazia.

 

I bislacchi siparietti dei due fantageniacci si configurano in un pur ridotto numero di pagine come autentici arzigogoli concettuali, per quanto Lem non manchi di renderli miracolosamente intellegibili anche da chi è profano di questioni scientifiche, per merito di un respiro pungente e nel contempo aggraziato quasi si trattasse di una versione riveduta e corretta del “Candide”. E’ indubbio, le menti meno elastiche o un tantino più anchilosate rischiano di faticare e non poco quando il risultato pecchi maggiormente di prolissità nei ragionamenti, si faccia troppo cerebrale o sbrachi in digressioni dada sempre garbate ma eccessivamente fumose.

 

E’ vero, altresì, che se dietro questi innocui apologhi è possibile distinguere bersagli ben più concreti quali il militarismo sfrenato o l’ottusità di monarchi più o meno illuminati (Atrocitus e Ferocitus potrebbero senza problemi essere metafore, rispettivamente, di stalinismo e leninismo), tutto questo sforzo rischia talvolta di ridursi a una semplice collezione di divertissement letterari, esercizi tanto gradevoli quanto fini a se stessi e in qualche caso noiosetti. Nei passaggi meno riusciti, un’opera letteralmente infarcita di arguzia come “Cyberiade” finisce per farsi prendere la mano dalle sue stesse sottigliezze, si perde in risvolti descrittivi anche irritanti e fa del travestitismo pseudoscientifico una corazza farsesca persino controproducente perché, alla lunga, stucchevole. Questo, grazie al cielo, solo quando il testo va in debito di leggerezza, quando tende troppo al didascalico per eccesso di programmaticità.

 

Non mancano, peraltro, gli episodi realmente spassosi, come quello del re burlone Balerion e del congegno per lo scambio delle menti. Una costante di queste parabole è l’immancabile scontro dei due brillanti inventori con la grossolanità e l’arroganza del malfidato sovrano di turno, simbolo della crudeltà tiranna del potere. Il quadro, al di là dell’ironia e della vivacità delle trovate, evidenza lo sconfinato pessimismo dell’autore polacco, la sua totale assenza di fiducia in un’umanità disumana, opportunista, bieca e votata per natura alla sopraffazione. Si tratta anche, a ben vedere, di una serie di raffinate riflessioni sull’arte del narrare, un gioco di specchi e labirinti che nei frangenti più sofisticati (su tutti “Le tre macchine narratrici di Re Genius”) si articola in un complesso dispositivo di scatole cinesi, o sogni dentro sogni, regalando un senso di autentica vertigine.

 

Ma Lem si diverte anche e soprattutto a plasmare la materia linguistica secondo necessità mimetiche, mirando cioè a un’elegante imitazione del gergo scientifico ma nella prospettiva deformante della narrativa favolistica. Non mancano poi le gustose derive surrealiste, evidenti nella sistematica adozione di un lessico fantasmagorico degno di Raymond Queneau (emblematici i “degenerali”) come nel ricorso a una figurazione nonsense (gli umani arrugginiscono come pezzi di metallo), che accentuano inevitabilmente gli intenti satirici, burleschi e antintellettuali dell’intera operazione.

7.1/10

0 comment