Strana bestiaccia selvatica, il John Dwyer pre-Ohsees.
Fiera lacerante nel duo di pazzi Pink & Brown, predatore mugghiante negli Yikes, obbrobrioso scherzo della natura nell’inospitale selva kitsch degli Zeigenbock Kopf: tutte belve reiette, a mollo nella palude del weird-garage e dell’industial-shitgaze californiano (scritto non senza perplessità, a puro beneficio di coloro che amano gli inutili file-under).
A brillare davvero in territori analoghi, a un giorno appena di cammino dalle band sopracitate e a un paio dai futuri Thee Oh Sees, è la fortunata parentesi dei Coachwhips, compagine weirdo-punk già autrice di un paio di ottimi album (tra cui il pregevole esordio “Hands On The Controls”), cointestata alla biondissima Mary Ann McNamara e allo sferzante John Harlow, massacratore di rullanti. Non contenti del loro già incoraggiante avvio di carriera, i giovani di San Francisco alzano di parecchio il tiro con quello che promette di imporsi a mani basse come miglior titolo del catalogo, il mini “Bangers Vs. Fuckers”, in uscita per Narnack a fine 2003.
E’ un’ondata di quelle devastanti e ferocissime questa, imbastita in appena una dozzina di rapide scudisciate, assalto frontale di erculea potenza che radicalizza tanto la lezione dei Mummies quanto la formula vincente dei White Stripes negli anni della loro esplosione (si sentano in proposito “Recline, Recline” e “Extinguish Me”). Imperturbabile, travolgente, diretto e amabilmente barbaro, caotico senza mai risultare gratuito nei suoi affondi, il terzetto si conferma un’esaltante combriccola di vandali e, in diciotto scalcagnatissimi minuti, prende a sberloni l’ascoltatore, alzando una quantità incredibile di polvere sul terreno e picchiando con furia cieca (“I Drank What?”, il blues spellato vivo di “I Knew Her, She New Me”).
La chitarra affilata e schiumante è la stessa che John sfoggerà negli anni a venire ma l’indole appare, se possibile, ancor più selvaggia e fieramente diy, tra sudice pozze roventi (“Dancefloor, Bathroom”) e una giungla di feedback spurgati senza riguardo sulla sporca fanghiglia lo-fi. Un vero gioiello “Bangers vs. Fuckers”, quanto di più prossimo a un bruciante manifesto per il (sotto)genere di riferimento, a opera di un gruppo di inattaccabile purezza, qui scatenato in un corpo a corpo violento con le nostre orecchie e del tutto libero di impazzare allo stato brado. Rigorosamente inafferrabili le liriche del capobanda, e quanto mai preziose le tastiere percosse senza alcuna pietà dalla sadica fanciulla (ben più ferina di qualunque Brigid Dawson incrociata in seguito dal frontman), prima di rifiatare nell’allucinato finale di “Goodnite, Goodbye”.
Moriranno l’indomani i Coachwhips, come ogni cosa bella che si rispetti. Non prima, tuttavia, di regalarsi un disco di commiato (“Peanut Butter and Jelly Live at the Ginger Minge”) ancor più caustico e abrasivo, trionfo di ossessioni schizoidi a base di organi dati alle fiamme e sibilanti feste del tetano, esasperate per l’occasione all’ennesima potenza. I fanatici del lieto fine non si rassegnino comunque: la spietata band di San Francisco sarà destinata a uscire dal sepolcro nella primavera 2014, in una serie di concerti-svago programmati da un Dwyer in pausa di riflessione dalla sua band principe.