L’Obama del folk

 

Per la serie “torniamo a raschiare il fondo del barile, fuori tempo massimo”, mi sembra giusto segnalare il disco d’esordio per l’interessante folksinger Miles Benjamin Anthony Robinson, nome chilometrico per un personaggio su cui ci si potrebbe tranquillamente dilungare in note biografiche neanche troppo vagamente da romanzo. Sintetizzando per non annoiare, dico solo che si tratta del figlio di un afroamericano e di una bianca come il nuovo presidente degli Stati Uniti, evidentemente una categoria etnica in forte ascesa in tutti gli ambiti. Coincidenza o no, Miles è riuscito ad emergere dopo un passato breve ma burrascoso, segnato da discriminazioni nel natio Oregon (non l’avrei detto), vita grama a New York, droga, sbronze e vagabondaggio. Pareva destinato nel migliore dei casi all’anonimato, se non peggio. Invece l’ultimo treno rappresentato da un amore inatteso e quanto mai salvifico ha rappresentato l’ancora di salvezza e il primo gradino di una formidabile risalita, esaltata da un paio di amicizie preziose (Chris Taylor dei Grizzly Bear e Kyp Malone dei TV on the Radio, che hanno prodotto questa sua prima fatica discografica e l’imminente seconda uscita) e da incredibili doti di istinto e tempismo, quelle che hanno fatto sì che il cantante si trovasse al posto giusto nel momento giusto.

L’album, eponimo, è uscito appena qualche mese fa per la piccola Say Hey. Non è un’opera sconvolgente ma può fregiarsi di una certa originalità, considerato che il genere cui va ricondotta non offre grossi margini all’esplorazione musicale o alle sperimentazioni: una lingua nota e stranota per quanto sempre molto attuale, come i recenti successi di Fleet Foxes ed altri sembrano confermare in maniera inequivocabile. Qui il campo dei possibili riferimenti è assai distante dalla bella forma o dalle suggestioni di grazia e delicatezza che i nuovi alfieri del genere negli States propongono con autorevolezza. Miles viene dal basso, vola radente e canta di disperazione, miserie e riscatto, senza soffermarsi in sterili fraseggi calligrafici per incantare i suoi ascoltatori. Le sue sono canzoni scarne, crepuscolari, arruffate e a tratti soffocanti, evocano l’arsura e l’aridità di un contesto urbano impietoso e spersonalizzante. Loro tratto peculiare è l’assoluta spontaneità di chi le ha scritte, oltre ad una certa introversione di fondo che affiora di continuo, determinante ma non minacciosa.

Canzoni che profumano di Dylan, come la schiva ‘Buriedfed’ testimonia in apertura. Ritrosia, mancanza di fiducia, paura forse, in un brano che parte contratto ma vien fuori con un crescendo degno del Conor Oberst più indiavolato, innervato da molti umori sotterranei via via liberati. ‘The Debtor’ parla chiaro: quello di Robinson è un folk anomalo, nervoso, secco e affilato, stilizzato sul piano ritmico (funzionale il pianoforte in questo) e sufficientemente scuro. Un suono comunque avvolgente assicurato dalla coralità vivace che si impone sul resto, un cantato che fa venire in mente Grant Lee Phillips anche se la voce non è proprio la stessa. ‘Written Over’ è un perfetto ritratto dell’artista da miracolato, in tutta la sua sincera e sguaiata libertà espressiva: una poesia sghemba che ripudia ogni possibile declinazione aulica o manierata del genere per recuperarne (e trattenerne) solo lo spirito più autentico.

Ingenuo ma fortemente personale questo Miles: stile incerto, che pecca non di rado con uscite troppo sbilenche o troppo fracassone, eppure non prive di un loro indubbio fascino (‘Who’s Laughing?’), o con sporcature bizzarre che rendono tutto più vivo e ruspante, accentuandone la profondità (‘Woodfriend’). La forma resta l’elemento di pregio dell’album e dello stile del cantautore, riuscendo a sorprendere di tanto in tanto per il carattere poco ortodosso delle soluzioni scelte: se ‘Mountaineer’d’ brilla per angoscia e sincerità, alternando i minimalismi e le rarefazioni iniziali alle esplosioni sonore sbalestrate che ne fanno seguito, convince in particolar modo il folk contaminato dal noise nella bislacca  ‘The Ongoing Debate’, un bel bagno tra riverberi e piccoli schizzi elettrici, carico e squilibrato il giusto. Questa è la forza di Miles Benjamin Anthony Robinson. La sua bruciante e genuina natura, cui tutto si perdona e che tutto impregna. Anche il romanticismo voce&piano di ‘Above The Sun’, infettato da inquietudini teatralizzate ora dalla voce sepolta, ora da un violoncello sepolcrale, e nonostante questo umanissime. Ragazzo interessante, molto promettente. Speriamo non si annacqui.

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