Il Paradiso degli Orchi _Letture

       

Gesù, quanto me l’hanno fatto a fette con Pennac! Leggi questo, leggi quello, e alla fine ho dovuto cedere. Glieli ho comprati tutti i libri del ciclo Malaussene, anche perché li si trova ovunque a prezzi irrisori, persino nuovi negli scaffali dell’usato. E allora via con il primo dei quattro titoli, quel “Paradiso degli Orchi” che mi sembra di intendere sia stato una specie di caso letterario. Quali impressioni mi restano, molto a posteriori? Beh, in primo luogo che riesco a capire perfettamente il successo di questo testo. E’ un’opera molto gradevole, si legge senza particolare difficoltà ed è ricca di suggestioni distopiche e riferimenti pseudo-colti che in ampie schiere di lettori – quelli occasionali e che si vorrebbero impegnati – non possono che avere partita facile. E in seconda battuta, che al momento non ho la minima intenzione di affidarmi a uno dei successivi capitoli della tetralogia. Ora sembrerò iper-critico, e con ogni probabilità lo sono davvero, ma non mento sostenendo che si tratta di un libro più che discreto e in fondo consigliato un po’ a tutti. Non l’opera di chissà quale Dio della letteratura, ma sicuramente di un valido alfiere della narrativa contemporanea: fantasiosa, cerchiobottista e, perché no, scaltra al punto giusto; ma anche meritevole di encomi, per le innumerevoli lance spezzate da Pennac nei confronti della lettura, insostituibile arma pedagogica per i più piccoli. Chiunque vada in cerca di qualcosa che, nel genere, possa vantare un retrogusto assai più speziato e il valore aggiunto di una più sana (e autentica) follia dada, non simulata per intenderci, farebbe però bene ad affidarsi a Raymond Queneau o alle fantasmagorie patafisiche di Boris Vian. Letture più ardite e non certo adatte a tutti ma, qualora foste contemplativi inguaribili e non temeste la noia, anche infinitamente più gratificanti di questo piacevole e fortunatissimo romanzetto.

In una Parigi inquieta e insolitamente grigia, Benjamin Malaussene lavora nella pancia del Tempio del Benessere, opulento Grande Magazzino che nei giorni caotici delle feste natalizie somiglia a un brulicante formicaio e diventa teatro di ripetuti, strani attentati esplosivi. Il suo non proprio invidiabile impiego consiste nel recitare la parte del “capro espiatorio” presso l’ufficio reclami, in combutta con lo spietato ex sottufficiale alsaziano Lehmann, al solo scopo di intenerire i clienti danneggiati e spingerli pietosamente a ritirare le richieste di risarcimento. Ulteriori fattori di stress sono le frequenti telefonate della sorella Louna, infermiera con tante relazioni tormentate e tanti aborti alle spalle, e soprattutto della madre, donna petulante, incline ai piagnistei e chiaramente affetta dalla sindrome di Peter Pan, “perennemente sintonizzata altrove” in una fuga a rotta di collo da ogni relazione stabile e dai propri doveri genitoriali. L’ancora di salvezza per il disastrato Ben lo attende però a casa, nel vecchio appartamento al pianterreno nel vivace melting-pot zonale a Belleville, ed è l’appassionato uditorio dei suoi resoconti in prima persona, una versione iperbolica, iperrealista, romanzata e non meno convulsa della pirotecnica realtà in cui si trova immerso ogni santo giorno. E’ una famiglia modernissima composta da un grosso cane vittima di epilessia, Julius, e quattro ragazzini – suoi fratellastri e sorellastre – che non si sa bene di quali padri siano figli: l’aspirante segretaria Therese, che stenografa assolutamente tutto quello che viene detto senza interruzioni, come per dare forma ad un unico torrenziale romanzo che si proverà poi a far pubblicare (con il geniale titolo “Implosione”); il razionalista Jeremy, attratto dalle strategie militari, dalle armi e relativa fabbricazione; il “piccolo”, che disegna “Orchi Natale” rossi e colleziona le fototessere dello “zio” Theo, omosessuale amico del clan, gerontofilo e responsabile del reparto Fai da te al Centro Commerciale; e infine Clara, fotografa dilettante e brillante osservatrice che anestetizza gli orrori a colpi di otturatore ed è la più valida sostenitrice dello sventurato fratello maggiore.

Dopo essersi imbattuto nella sensuale fatalona “zia” Julia, giornalista di “Actuel” che scriverà un reportage sulla sua ingrata professione e occasionalmente gli accorderà i suoi favori sessuali, il mite Malaussene inizia a indagare per conto proprio e a riportare a casa, grazie all’immancabile filtro fantastico (indimenticabili Gib La Iena e Bas Basetta, favolistici duplicati dei soli leali poliziotti, il commissario Rabdomant e l’ispettore Caregga), i crudi retroscena via via svelati, certe odiose storiacce di pedofilia e tortura risalenti alla notte della ragione, negli anni dell’occupazione nazista. Per paradosso, la cruda ironia sfoderata al cospetto degli sprovveduti organi inquirenti, il suo ruolo di dipendente più tartassato e – si suppone – più rancoroso, oltre al fatto di essere il solo individuo sempre presente nei luoghi delle esplosioni, ne fanno in men che non si dica il principale sospettato, inviso per la sua condotta poco accondiscendente anche ai vertici del sindacato e alla proprietà (nella persona del brillante e insopportabile Sainclair), che pure non esita a raddoppiargli gli emolumenti visti i notevoli risultati ottenuti nei panni della vittima sacrificale. Come avrà modo di realizzare amaramente sulla propria pelle, perché quella deformazione professionale evolva in vocazione esistenziale, suo malgrado, il passo è quanto mai breve…

Proprio come il suo protagonista, Pennac si rivela un affabulatore di razza e da vita a una realtà narrativa ricca di fascino e personaggi memorabili, dalla quale è quasi inevitabile lasciarsi irretire. “Il Paradiso degli Orchi” è un testo agile, breve, eppure denso di invenzioni strepitose e dettagli appassionanti, a cominciare dai fantasmagorici resoconti finzionali che Benjamin smercia ai fratelli bambini a fine giornata. Tra un omaggio alla Roma di Gadda e alla Parigi di Sue, alla Mosca di Dostoevskj e alla Londra di “Blow-Up”, prende forma un giallo surrealista, un noir virato in chiave felicemente pop che, come il saggio interpretato dal guardiano notturno Stojil, ha la sua massima forza nell’umorismo, “irriducibile espressione dell’etica”. Proprio l’ironia consente a Pennac di affrontare con la sua penna mostri e demoni contemporanei con ammirevole leggerezza, senza venirne fagocitato e senza mai scadere in triti (e comodi) luoghi comuni. Meglio l’imprevedibilità di una prima parte davvero avvincente, in cui il lettore è invitato con garbo a familiarizzare (nel vero senso della parola) con questo bizzarro universo parallelo e vi si trova talvolta piacevolmente sperduto. Nelle battute conclusive l’autore sembra invece più interessato a far andare al loro posto tutti i tasselli del puzzle e non ha modo di evitare qualche soluzione più accomodante e didascalica, per non far perdere la rotta a chi segue le vicende dei Malaussene tra le pieghe di un intreccio sempre rigorosamente intrepido. Un pizzico di virtuosismo programmatico in meno e un po’ di sana follia dada alla Queneau o di nonsense grottesco alla Vian (evidentemente non solo semplici riferimenti tra i tanti) in più avrebbero giovato, anche considerando il tenore e le trovate chiave del libro, ma questo terzo romanzo di Pennac resta comunque una lettura intelligente, stimolante ed estremamente godibile, lieve senza mai essere superficiale.

7.5/10

0 comment