Nick Cave @ Traffic Festival

09-07-2009

 

Re Inkiostro a Torino, era un po’ che non capitava. Di certo non era mai successo di trovarselo a domicilio in forma gratuita, ma il bello del Traffic è questo. La nuova edizione poi ha visto l’esordio bagnato da una cornice di pubblico e scenografica assolutamente all’altezza, con una platea numerosa accorsa a Venaria non per fare baldoria ma per seguire il monumentale show di un grande di questi tempi, in un contesto visivamente suggestivo. L’organizzazione invece ha mostrato le sue pecche, costringendo chi si era presentato presto ai cancelli della reggia sabauda ad un’attesa a dir poco snervante, protrattasi fino alle 20 dato che i tutori dell’ordine hanno optato per tempistiche assai lontane dai criteri di puntualità che grossi eventi come il Traffic richiederebbero. E’ stata la sola nota stonata comunque, dato che anche il corredo di musicisti ha funzionato come antipasto. La combriccola freak del cantautorato slacker torinese ha svolto egregiamente il compito di spensierato aperitivo, in un clima di rilassatissimo disimpegno che ci ha fatto dimenticare la stanchezza. Nello specifico delle prove dei singoli terrei fuori giudizio Spaccamonti, per nulla intimorito ma troppo poco adatto alla monumentalità della serata, piazzato in solitudine nel bel mezzo dell’enorme palco a difendersi dalla generale indifferenza con i suoi ricamini di chitarra stratificata. Gradevolissimo il derby tra un Vittorio Cane tirato a lucido per l’occasione che mai più gli si ripresenterà e un Deian Martinelli impeccabilmente stralunato: bella sfida tra i modelli in sedicesimi di Bugo e Rino Gaetano, con vittoria tutto sommato agevole del secondo, a tratti delizioso. Nota di merito al pubblico che non ha travolto Cane con bordate di insulti, smentendo le previsioni della vigilia. E’ la prima volta che gli vediamo passare indenne un concerto, persino gli anziani da bocciofila ferragostana a Piazza D’Armi l’avevano impietosamente apostrofato. Notevole St. Vincent, nonostante le difficoltà. Andata in scena con ancora la luce del giorno, appesantita nel set da opzioni a dir poco scellerate a livello di acustica, trattata tutto sommato male da una bella fetta di pubblico che non le ha risparmiato nulla, se l’è comunque cavata benone. Con intelligenza ha lasciato a casa la Annie Clark romantica e languida, tirando fuori una prova grintosa e non priva di audacia, graffiando con la chitarra e mostrando una cattiveria ammirevole. Tra le gemme, una ‘Marrow’ agitatissima, ‘Actor Out of Work’ e una cover sanguinante di ‘Dig a Pony’. Era solo l’anticamera a Nick Cave, comunque, è lui è parso artista di un altro sistema solare. Ci si è mostrato in tutte le possibili fogge, quella muscolare (l’uno-due micidiale di ‘Papa Won’t Leave You, Henry’ e ‘Dig, Lazarus, Dig!!!’ sparato in apertura), quella lirica e sinistra delle ‘Stagger Lee’ (e ‘Red Right Hand’), quella tutto incanto delle ballate immortali (‘Henry Lee’, ‘The Ship Song’, ‘Lucy’), quella tellurica e favolosa (‘Deanna’, ‘Tupelo’ e ‘The Mercy Seat’, una vetta assoluta come da previsioni), più una limitata ma entusiasmante serie di chicche. In gran forma l’affiatatissima band, ma Warren Ellis è stato gigantesco, un capolavoro di istrionismo ed elettricità nervosa. Se ve li siete persi e volete farvi una pur pallida idea, le mie parole le trovate nel link dalla prima immagine mentre alla galleria fotografica si accede da quello della seconda. Peccato aver potuto usare la reflex solo nella bolgia del primo pezzo: gli scatti fatti con la compatta non sono allo stesso livello.

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