Chain & The Gang @ La Suoneria, Settimo T.se 28/05/2011

    

E’ proprio di questi giorni la notizia della reunion di un’inarrivabile garage band come i Make-Up, annunciati per maggio nel cast del prossimo festival All Tomorrow’s Parties a Londra. Ora, non so cosa ne pensiate voi di questa inflazionatissima operazione recupero, del vento del revival che negli ultimi tempi sembra aver saputo resuscitare anche i morti scaraventandoli sui palchi di mezzo mondo per la gioia di chi nei settanta, negli ottanta o nei novanta era troppo giovane (o non c’era proprio) per spendere i suoi soldini al cospetto di questo o quel gruppo. In genere i casi di ritrovata armonia tra musicisti che fino a qualche anno prima si sarebbero volentieri augurati reciprocamente tutto il male di questo mondo mi lasciano perplesso, e non poco. E’ vero però che anche questa pratica lucrosa e perversa abbia talvolta le sue eccezioni, e il nome dei Make-Up dovrebbe (ma il condizionale è d’obbligo) rientrare tra queste. Ian Svenonius, il frontman, non ha mai smesso di portare in scena la sua idea irriverente e sagace di musica alternativa. Chiusa l’esperienza del suo gruppo ad oggi più apprezzato, ha continuato a scrivere folgoranti bozzetti blues, soul e rock’n’roll, facendosi assistere ora da questo ora da quell’ex compagno di squadra. La conturbante Michelle Mae e il chitarrista Alex Minoff nei progetti Weird War e Scene Creamers, il bassista Steve Gamboa nell’avventura solista a nome David Candy ed il tuttofare James Canty nell’astruso capriccio denominato Chain & The Gang, che qui colgo l’occasione di menzionare a qualche mese di distanza da un’irresistibile performance in un piccolo locale dell’hinterland torinese. Proprio come Jon Spencer, Svenonius è il classico instancabile mostro da palcoscenico un po’ folle che disegna le band a propria immagine e somiglianza e se ne sbarazza con la stessa schizofrenia con cui le fashion victim cambiano abito. Non mi stupirei di ritrovarlo in giro con i corrosivi Nation of Ulysses – peraltro assai appropriati in questi anni di recessione a tutto campo – come non resterei sorpreso se il leader della Blues Explosion liberasse dalla naftalina la sua prima creatura, i Pussy Galore. Sia come sia, uno come Svenonius resta uno spettacolo a prescindere dal repertorio rispolverato di volta in volta o dalle figurine di contorno: se la speranza di sentirgli gridare ‘The Choice’, ‘Save Yourself’ o ‘Joy of Sound’ rimane un sogno che il probabile imminente tour europeo potrebbe veder realizzato, tocca ammettere che anche l’eccentrico “gospel yeh-yeh” della sua più recente incarnazione live vale assolutamente il prezzo del biglietto. Belle canzoni che odorano di modernariato, tirate politiche travestite da sermoni funk-soul ed un’inarrestabile verve da teatrante predicatore, la stessa anima punk intellettualoide che vent’anni fa si traduceva nelle brucianti fiammate post-hardcore dei Nation of Ulysses. Nel report accessibile dalla prima foto in alto c’é tutto della serata alla Suoneria di Settimo, dalle canzoni strascicate sul pavimento del locale o in cima al mio tavolino, ai goal di Messi al Manchester United. Eh sì, era serata di finale per la Champions League. Certe esibizioni però, revival o meno, rimangono di gran lunga più appassionanti.

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