Month: dicembre 2011

Patrick Wolf @ Spazio211   01/12/2011              _ Il nostro (altro) concerto

      

Per chiudere un mese tra i più travagliati che la mia presenza telematica ricordi – tra una migrazione di blog e l’addio alla webzine con cui più a lungo ho collaborato – ecco il report alquanto incompleto del penultimo live dell’anno, quello (davvero molto particolare) di Patrick Wolf a Spazio, il primo dicembre scorso. Non l’ultimo concerto del 2011: per stanchezza non preventivata ho dovuto rinunciare a Damon & Naomi al BlahBlah, ma nello stesso locale ho comunque assistito all’ultimo vero show della stagione (e, a sorpresa, uno dei più convincenti), quello dei The Babies. Considerata la tradizione di chiudere l’anno in bellezza – termine riferito esclusivamente all’avvenenza dell’artista femminile di turno – lasciare con il pittoresco ragazzone inglese avrebbe rappresentato uno strappo alla regola nefasto, anche se con la Vivian Girl Cassie Ramone (che dei The Babies è la vera stellina) posso dire di essermi salvato soltanto in corner. Tornando a Wolf, comunque, tocca riconoscere di essere rimasto favorevolmente impressionato sia dalla qualità dell’interprete che dalle sue doti di intrattenitore, pregi in fondo indipendenti dall’anomala veste sonora che le sue canzoni hanno assunto in questa limitata fetta di tour. Certo quest’ultimo aspetto non può non essere stato determinante: di mio ammetto di fare molta fatica con i pesanti orpelli elettronici che gravano sugli album del quasi trentenne londinese come un’appendice pacchiana ed alquanto indigesta. La presentazione dei tre concerti-evento italiani come set interamente acustici è stata quindi accolta dal sottoscritto con una nota di sollievo, ma anche con un timore credo non illegittimo: il rischio di scivolare per troppa affettazione in una prova freddina, ingessata e sostanzialmente di maniera. A smentire senza indugi quest’ultima prospettiva ha pensato la prova di carattere di Patrizio Lupo, come lui stesso si è presentato ad un certo punto al calorosissimo pubblico di Spazio in uno dei tanti siparietti improvvisati (?) in un accettabile italiano. Non solo carisma, non solo una voce che può tantissimo, e sa commuovere come graffiare. A impressionare sono state le canzoni, anche e soprattutto quelle del recente ‘Lupercalia’ (da ‘House’ a ‘The City’, passando per ‘Together’ e ‘Time of My Life’), non esattamente un capolavoro. La veste sobria ma molto elegante conferita dal piano o dal violino (suonato quasi esclusivamente dall’unica altra musicista sul palco, Victoria Sutherland), dall’arpa o dall’ukulele, è riuscita a conferire ai brani di Wolf uno smalto ed una bellezza genuina, semplice, alleggerita dal peso dei ghirigori sintetici presenti nelle versioni di studio. A fare decisamente la differenza è stato però anche il tono garbato ma informale con cui il giovane cantante si è posto sin dall’inizio, evidente già nella richiesta ai gestori di disporre tutte le sedie presenti in sala tutt’attorno al palco, come a creare un clima raccolto, intimo e confortevole. Qualche difficoltà per il sottoscritto, arrivato nel locale di via Cigna con meno anticipo del solito, evidentemente, e costretto ad accucciarsi in uno scomodo angolo laterale sul gradino sotto al palco per riuscire a “conquistare” le fotografie che trovate in alto (la galleria completa si raggiunge grazie al link dalla prima di esse) e non limitarsi ad applaudire le nuche di tutti gli astanti (pubblico come da previsioni numerosissimo e molto vivace). A completare le note positive di un concerto comunque sempre piacevolissimo, a tratti estremamente suggestivo, la verve ininterrotta di Patrick nei panni del mattatore, tra battute a raffica, ripetuti intermezzi a base di effusioni con gli spettatori ed un finale gay oriented sopra le righe, divertentissimo. Forma e sostanza quindi strettamente legate per un risultato all’altezza delle più rosee aspettative. Il fatto che questo dovrebbe essere sempre un requisito necessario non sminuisce i meriti di una performance di alto livello. Promosso.

SETLIST: ‘Hard Times’, ‘House’, ‘Bluebells / Shadow Sea’, ‘Land’s End’, ‘Time of My Life’, ‘Pigeon Song’, ‘William / The Future’, ‘Tristan’, ‘Together’, ‘Paris’, ‘Bitten’, ‘The Tinderbox’, ‘The Magic Position’, ‘Wind in the Wires’, ‘The City’; ENCORE: ‘Armistice’, ‘The Falcons’.

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Classificone 2011

Seconda metà di dicembre, appuntamento irrinunciabile con la classifica dei dischi, corposa e presentata volutamente senza countdown proprio come l’anno passato. Anche il 2011, ormai come tradizione, si è rivelato tutt’altro che esaltante, con dischi sì buoni (in rari casi davvero molto buoni) ma dei quali difficilmente ci si ricorderà a lungo. Nessun capolavoro comunque, anche se alla nuova fatica di Tom Waits manca solo il fattore originalità per potersi fregiare del titolo (visto che di una summa del Waits più classico si tratta in fondo, con una raccolta di grandissime canzoni). Molto bene anche la collezione di brani che Stephin Merritt ha scritto in momenti diversi della propria carriera (non proprio materiale nuovo quindi) e pubblicato qualche mese fa con il titolo di ‘Obscurities’: assai più che nei pur validi ultimi dischi del collettivo Magnetic Fields qui le canzoni sono il frutto evidente di un genio vero, così come il regolare sabotaggio adottato a livello di arrangiamenti (dei più assurdi, nell’insieme molto stimolanti). Sul gradino più basso del podio il vero gioiello pop dell’anno, il nuovo album del cantante dei Superfurry Animals finalmente libero di dedicarsi ad un compendio melodico prossimo alla perfezione . Quindi la sorpresa del folk silvano (ed elegantemente alieno) della straordinaria finlandese Anna Jarvinen, stretto nella morsa dei due migliori album garage-revivalisti degli ultimi mesi, il convincente ritorno di Mark Sultan e l’incredibile virtuosismo canzonettaro di una promettente band di Oakland, Shannon & The Clams. Conferme molto importanti dai Low e dai Girls, lo scarno ma potentissimo intimismo di Josh T. Pearson e la migliore fotografia dell’eccellente momento dei Thee Oh Sees completano le prime dieci posizioni. A seguire un po’ di tutto – con una nutrita rappresentanza di voci e chitarre femminili – anche se i generi per il sottoscritto restano quelli (cantautorale, garage, indie-pop, folk): non aspettatevi nuove tendenze, sono allergico e lo sapete.

1. Tom Waits  ‘Bad As Me’

2. Stephin Merritt  ‘Obscurities

3. Gruff Rhys  ‘Hotel Shampoo

4. Mark Sultan  ‘Whatever I Want

5. Anna Järvinen  ‘Anna själv tredje

6. Shannon & The Clams  ‘Sleep Talk’

7. Low  ‘C’mon’

8. Girls  ‘Father, Son, Holy Ghost’

9. Josh T. Pearson  ‘Last of the Country Gentlemen’

10. Thee Oh Sees ‘Carrion Crawler / The Dream

 

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11. A.A. Bondy  ‘Believers’

12. Acid House Kings  ‘Music Sounds Better With You’

13. Gillian Welch  ‘The Harrow & the Harvest’

14. Man Man  ‘Life Fantastic

15. My Brightest Diamond  ‘All Things Will Unwind’

16. Comet Gain  ‘Howl of the Lonely Crowd’

17. Juliana Hatfield  ‘There’s Always Another Girl’

18. East River Pipe  ‘We Live in Rented Rooms’

19. Boston Spaceships  ‘Let It Beard’

20. Meg Baird  ‘Seasons on Earth’

21. Mikal Cronin  ‘Mikal Cronin’

22. The Indelicates  ‘David Koresh Superstar

23. Scott Matthew  ‘Gallantry’s Favorite Son’

24. Ty Segall  ‘Goodbye Bread’

25. King Creosote  ‘Thrawn’

26. Bill Callahan  ‘Apocalypse’

27. Alela Diane  ‘Alela Diane & Wild Divine’

28. Those Darlins  ‘Screw Get Loose’

29. Nicole Atkins  ‘Mondo Amore’

30. The Mountain Goats  ‘All Eternal Deck’

 31. Royal Headache  ‘Royal Headache’

32. Ron Sexsmith  ‘Long Player Late Bloomer’

33. Marissa Nadler  ‘Marissa Nadler’

34. Jens Carelius  ‘The Architect’

35. Joan As Policewoman  ‘The Deep Field’

36. David Lowery  ‘The Palace Guards’

37. S.C.U.M.  ‘Again Into Eyes’

38. The Bevis Frond  ‘The Leaving of London’

39. Other Lives  ‘Tamer Animals ’

40. The Decemberists  ‘The King Is Dead’

41. Fleet Foxes  ‘Helplessness Blues’

42. Andrew Jackson Jihad  ‘Knife Man’

43. Hezekiah Jones  ‘Have You Seen Our New Fort?’

44. St.Vincent  ‘Strange Mercy’

45. The Jayhawks  ‘Mockingbird Time’

46. Emmy The Great  ‘Virtue’

47. J Mascis  ‘Several Shades of Why’

48. The Rural Alberta Advantage  ‘Departing’

49. The Raveonettes  ‘Raven in the Grave’

50. The Leisure Society  ‘Into the Murky Water’

51. Acid Baby Jesus  ‘Acid Baby Jesus ’

52. P.J.Harvey  ‘Let England Shake ’

53. OBN III’s  ‘The One and Only’

54. Thee Oh Sees  ‘Castlemania’

55. Atlas Sound  ‘Parallax’

56. Antònia Font  ‘Lamparetes’

57. Richard Buckner  ‘Our Blood’

58. Cass McCombs  ‘Wit’s End’

59. Bon Iver  ‘Bon Iver, Bon Iver’

60. Ween  ‘Caesar Demos’

61. Anna Calvi  ‘Anna Calvi’

62. The Twilight Singers  ‘Dynamite Steps’

63. Destroyer  ‘Kaputt’

64. Ilya Monosov  ‘Sailor Man’

65. Okkervil River  ‘I Am Very Far’

66. Birdy  ‘Birdy’

67. Tim Cohen  ‘Magic Trick’

68. We Are Augustines  ‘Rise Ye Sunken Ships’

69. Wilco  ‘The Whole Love’

70. Owen  ‘Ghost Town’

71. Fruit Bats  ‘Tripper’

72. Keren Ann  ‘101’

73. Jenny Hval  ‘Viscera’

74. Richmond Fontaine  ‘The High Country’

75. Stevie Jackson  ‘(I Can’t Get No) Stevie Jackson’

76. Chris Kiehne  ‘Pray For Daylight’

77. Seeker Lover Keeper  ‘Seeker Lover Keeper ’

78. Hot Head Show  ‘The Lemon LP’

79. King’s Daughters & Sons  ‘If Then Not When’

80. The Men  ‘Leave Home’

81. Piers Faccini  ‘My Wilderness’

82. Robert Pollard  ‘Space City Kicks ’

83. Stephen Malkmus  ‘Mirror Traffic’

84. Real Estate  ‘Days’

85. The Kills  ‘Blood Pressures’

86. Crystal Stilts  ‘In Love With Oblivion’

87. Loch Lomond  ‘Little Me Will Start a Storm’

88. The Dear Hunter  ‘The Color Spectrum’

89. Lenguas Largas  ‘Lenguas Largas’

90. Momus and John Henriksson  ‘Thunderclown’

91. The Ettes  ‘Wicked Will’

92. Explosions in the Sky  ‘Take Care, Take Care, Take Care’

93. Bonnie ‘Prince’ Billy  ‘Wolfroy Goes to Town ’

94. Apache Dropout  ‘Apache Dropout’

95. Girls Names  ‘Dead To Me’

96. Maritime  ‘Human Hearts’

97. The Ladybug Transistor  ‘Clutching Stems’

98. La Casa Azul  ‘La Polinesia Meridional’

99. Circus Devils  ‘Capsized!’

100. Akron/Family  ‘S/T II: The Cosmic Birth and Journey of Shinju TNT’

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Crocodiles @ Spazio211                                     02/04/2011

    

Dopo quasi cinque anni di collaborazione, domenica ho salutato Indie-rock.it. Una decisione presa non certo a cuor leggero, ma penso giusta. Raschiato il barilotto dell’entusiasmo fino al fondo, continuare non aveva senso. Il problema è quasi essenzialmente mio, visto che è sicuro che i miei gusti siano cambiati nel corso di questo lustro e che ciò che poteva sembrarmi stimolante in origine non lo sia più adesso. Scrivere di musica è una passione comunque usurante, perché ci si trova a ripetersi sempre e sempre di più, inesorabilmente, ed anche il divertimento e il piacere rischiano di andare a farsi benedire articoletto dopo articoletto. A questo aggiungerei una trasformazione implicita della webzine stessa, che con il tempo ha visto lasciare alcuni dei suoi più validi collaboratori – quelli con i quali trovavo maggiore affinità – e almeno in questo si è impoverita. Impossibile fare squadra senza una vera redazione e senza una precisa linea editoriale. Pur muovendomi nella più assoluta libertà, un merito del boss Cristiano Gruppi che è doveroso sottolineare, mi sono ritrovato sempre più come un pesce fuor d’acqua, a promuovere dischi, artisti e concerti di scarso interesse per il “lettore tipo” del sito, incapace di aprire validi spazi di riflessione su di essi, e quindi, sostanzialmente, anche sempre meno motivato. E’ stata una gran bella esperienza e ci tengo a salutare e ringraziare tutti quelli che mi hanno dato modo di viverla o che si sono trovati per loro sventura a collaborare in qualche modo con il sottoscritto. Non lascio per andare altrove, come hanno fatto alcuni dei più intraprendenti (Lorenzo ‘Bandit’ Righetto, ora vero valore aggiunto di Ondarock), e la speranza è forse di potermi dedicare maggiormente a questo blog troppo a lungo trascurato. Che oggi ripropone un live report scritto proprio per Indie-rock ad aprile, a testimonianza del secondo passaggio torinese dei Crocodiles. Concerto non male come il loro secondo album, ‘Sleep Forever’, ma penalizzato da un minutaggio complessivo ancora troppo esiguo (45 minuti. Un anno prima furono 30 scarsi). Intensi e rumorosi i Crocodiles, ma effettivamente troppo poco generosi. Lo stesso pare sia capitato poco più di due settimane fa con il progetto coniugale del loro cantante, Brandon Welchez, e della frontwoman delle Dum Dum Girls Kristen ‘Dee Dee’ Gundred, insieme sul palco di Spazio per appena una mezzoretta, nonostante un bacino di canzoni pressoché doppio rispetto a quello della sola band di San Diego. Una presa per i fondelli bella e buona. Nel campo la chiamiamo divismo.

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Una cosa divertente che non farò mai più            _Letture

    

Decisamente soft il mio primo incontro con l’opera di David Foster Wallace. Diventato celebre in anni in cui avevo mandato la letteratura di ogni sorta al confino, totalmente assorbito da altre passioni e dalla lettura dei troppo spesso indigesti manuali universitari, questo momento non poteva che essere procrastinato fino a dopo la morte dello scrittore statunitense, quasi fosse programmato che non avrei avuto il piacere di aspettare una sua eventuale prossima uscita con l’insofferenza tipica del seguace fidelizzato. Meglio così forse, il suicidio degli artisti che più amo mi risulta particolarmente insopportabile. Dovevo scegliere un punto fermo dal quale partire ed avrei optato senza troppi timori reverenziali per ‘Infinite Jest’, se solo l’avessi trovato in biblioteca. “Compri tanti dischi, comprati qualche libro”, mi si contesterà. E’ vero, ma il fatto è che per mia natura tendo a non fidarmi troppo e di certo non compro (quasi) mai a scatola chiusa, non nel caso di un voluminoso e controverso tomo da 1400 pagine di narrativa postmoderna, per lo meno. Che poi già so che sarà amore, me lo sento. Ho mandato giù ‘L’Arcobaleno della gravità’ senza troppi patemi e mi è piaciuto, figuriamoci. Amo la scrittura brillante ma non paracula e più di tutto apprezzo l’intelligenza. Ecco, questo breve saggio molto particolare – da me preferito alle raccolte di racconti solo perché per apprezzare davvero i racconti devo sentirmi assolutamente ispirato verso essi (diciamo che devo essere in “modalità racconto”, ed in questo momento non lo sono) – ha soddisfatto agevolmente entrambi i criteri convincendomi. Nel suo genere, sempre che esista, potrebbe essere quasi un capolavoro: è caustico, preciso, divertente, onesto e soprattutto sincero. Forse perché non filtra quella sottile tristezza che Wallace aveva nei giorni in cui lo scrisse, vivendo l’esperienza allucinante di una megacrocera ai caraibi. Solo uno stuzzichino in attesa di qualcosa di più probante, però non male davvero.

Una settimana in compagnia dell’”agorafobico borderline” David Foster Wallace sui bianchissimi ponti della nave da crociera extralusso Zenith, affettuosamente ribattezzata Nadir, in navigazione tra la Florida e i Caraibi. Sotto la rassicurante cappa di un sole che sembra programmato in base alle esigenze e di un’immensa volta celeste color lapislazzuli, nella rinnovata bambagia di temperature rigorosamente uterine, seguiamo la genesi di un lungo articolo commissionato allo scrittore dalla prestigiosa rivista Harper’s nella primavera del 1995 e reso assolutamente imperdibile solo e soltanto dallo sguardo illuminante del suo autore. Un reportage informale, un diario pungente vergato con mirabile acume psicologico, sociologico e semiologico, ma senza alcuna pretesa di infallibilità. Disincantato, onesto, preciso, feroce, impietoso ed ironico ma assai meno esilarante di come lo si è spesso descritto, anzi, amarissimo nella lucidità della sua analisi, sgravato da qualsivoglia scoria di cinismo eppure abbandonato ad una sottile ma rassegnata tristezza di fondo. Ad emergere a più riprese segnando il tono della trattazione assai più del fine umorismo è un senso di vigile disperazione, legata soprattutto al fatto di non potersi emendare completamente dalla propria sostanziale e sgradevole natura di americano benestante. Il pessimismo di un Wallace ancora poco più che trentenne è l’autentico certificato di qualità di questo libello agile e a suo modo appassionante, prezioso nel raccontare senza belletti la stremante fatica del divertimento a tutti i costi, il vizio pianificato al millimetro, l’assurdità di una certa sterilizzata filosofia di vita e di riposo. E’ il segno tangibile di un’intelligenza rara ed incapace di abdicare anche di fronte agli inevitabili “rinculi interiori politically correct”, particolarmente viva nelle pagine cruciali in cui è descritto il significato più profondo delle allucinanti esperienze di questo tipo: <<Una vacanza è una tregua dalle cose sgradevoli, e poiché la coscienza della morte e della decadenza è sgradevole, può sembrare strano che la più sfrenata fantasia americana in fatto di vacanze preveda che si venga schiaffati in mezzo ad una gigantesca e primordiale macchina di morte e decadenza. Eppure, sulla crociera extralusso 7NC, veniamo coinvolti con abilità proprio nella costruzione di svariate fantasie di trionfo sulla morte e sulla decadenza>>.
Un saggio brillante e ancora incredibilmente attuale, che si lascia leggere e rileggere volentieri.

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