La terza Anna

 

Con sei mesi di nuovi ascolti già andati in archivio, lo scrigno delle sorprese inizia a rivelare la ricchezza del proprio contenuto, dimostrando una volta di più che a cercar bene la qualità non manca e c’é sempre modo di rimanere piacevolmente impressionati dall’arte di qualche emerito artista sconosciuto. Tra i nomi che valgono una segnalazione ecco quello di Anna Järvinen, cantante nata ad Helsinki ma andata a cercar fortuna in Svezia, dapprima in una band chiamata Granada e solo poi, dopo tre dischi condivisi con il gruppo, in solitaria. E’ uscito da poco il nuovo ‘Anna Själv Tredje’, terzo album a suo nome e dal titolo volutamente ambiguo (lo stesso di uno dei più celebri quadri di Leonardo, ‘Sant’Anna, la Vergine e il Bambino con l’agnellino’, ma anche qualcosa come “La terza Anna”, ben illustrato dalla fotografia in tripla esposizione della copertina), che per il sottoscritto ha assunto presto i contorni della rivelazione. Sarà che quando si tratta di folk-pop scandinavo so già di potermi aspettare grandi cose, sarà che è proprio all’incrocio di questi due generi che si nasconde spesso l’arte del sublime, sia come sia, questo piccolo lavoro indipendente mi ha profondamente convinto. Non è certo l’opera di una sprovveduta, o di un’emergente: la Järvinen ha quarantun’anni, dei suoi trascorsi si è già detto a grandi linee e, insomma, la sensazione per me è stata quella di esserci arrivato con colpevole ritardo. Non è mai troppo facile quando si tratta di Europa del nord. I talenti veri – ormai è acclarato – sono tantissimi. Il problema è scovarli, visto che da quelle lande si esportano per lo più metal, rock sciatto e pop commerciale (per quest’ultimo è meglio usare l’imperfetto) mentre nella sfera indipendente le ingombranti proposte dall’Islanda continuano a veder sacrificato tutto il resto, spesso a svantaggio degli ascoltatori che siano meno disposti a perdersi in estenuanti ricerche in rete. Io mi sono imbattuto in questo album entusiasmante come arrivando dal nulla e ho sentito subito il bisogno di correre a ritroso nel passato della sua autrice. Se dei Granada ancora poco posso dire, eccetto che le qualità di Anna erano ben visibili ma giocate a puro servizio di un gruppo, fortemente influenzate dalle allora (dieci anni fa circa) nuove sensazioni statunitensi e canadesi, le impressioni dai miei limitati assaggi di ‘Jag fick feeling’ e ‘Man var bland molnen’ hanno confermato che questa cantautrice finlandese non ha semplicemente tirato fuori un coniglio dal cilindro ma può vantare una voce ed una sensibilità melodica tutt’altro che comuni.
 
Come spesso capita, a piacermi è stata in prima battuta la copertina. Quel senso di dinamicità, di movimento quieto, ma anche il contrasto tra luce ed oscurità e l’eleganza: tutti dettagli che nelle dieci canzoni di ‘Anna Själv Tredje’ sanno imporsi con la giusta rilevanza, come coccarde di merito sugli orli di una cifra stilistica capace di omaggiare i classici restando sempre e comunque molto personale. Non da oggi, come dimostra la splendida gemma che chiudeva il disco d’esordio. In patria – meglio, in Svezia – l’hanno (giustamente) accostata ad una straordinaria artista folk tornata prepotentemente di moda dopo anni di oblio, Vashti Bunyan, forse per la capacità di rinnovare quel genere musicale aprendolo verso influenze che oggi (dal twee, al chamber, al dream) sono sempre determinanti per spingere a classificare un disco come indie-pop. Il brano di apertura, ‘Uppåt Framåt på Finska’, è in tal senso emblematico per la sintesi mirabile di inquietudine (dagli archi) e senso di pace (dai flauti), per il fascino silvano della pioggia registrata come accompagnamento a sonorità arcane, alla luminosissima trama acustica. Si sono fatti anche altri nomi, come quelli delle ben più note Sophie Zelmani, Stina Nordenstam e Annika Norlin, che in Svezia spopolano nel medesimo ambito, non senza merito: tutti certamente validi. Di mio aggiungerei un rimando all’inglese Nancy Elizabeth Cunliffe, per la sapienza con cui sa trarre il massimo da ogni strumento chiamato a recitare con parsimonioso coinvolgimento (‘Titta vi Flyger’), ma anche a Susanna Wallumrød (e Henriette Sennenvaldt, e tantissime altre), per l’incomparabile finezza del tocco scandinavo (qui comunque mitigato) e persino a Joanna Newsom e a Björk, in quei passaggi in cui la voce della cantante somiglia a quella di un folletto,  di una bimba, senza risultare comunque querula o fastidiosa. Lo spettro dei riferimenti non sarebbe tuttavia completo se si trascurasse di citare quell’inconsapevole maestro che, a livello di umori ed atmosfere, sembra aver profondamente influenzato Anna. Nell’avvolgente ed incantevole autoritratto notturno di ‘Lilla Anna’, ogni singolo elemento (viola, organo, batteria) pare riportare indietro le lancette di oltre quarant’anni direttamente al Nick Drake di ‘Bryter Layter’, quello meno tormentato. L’incanto nella voce della Järvinen è però modernissimo e riesce a conferire un’autenticità inarrivabile alle aspirazioni intimiste della finlandese, mentre il cinguettio dei passeri già guarda oltre, ad una nuova primavera.
 
In un disco in cui le note di merito sono numerose al pari degli artefici – ed una menzione speciale va anche alla produzione perfetta di Mattias Glavå (già con Håkan Hellström, Sambassadeur e Jens Lekman) – la voce rimane la protagonista incontrastata, capace di spaziare dalla formula delle confessioni delicatissime all’eleganza di un sussurro destinato a librarsi nella grazia infinita del canto (‘Vals för Anna’), oppure di riscattare con nuovi sfuggenti virtuosismi l’impostazione folk meno ardita di qualche passaggio (‘Hur Man Lättar Helt Enkelt’, il brano più “americano” del lotto). Per l’ascoltatore non svedese si perde purtroppo la poesia dei testi, anche se ‘Anna Själv Tredje’ ha comunque un gran numero di frecce da scoccare per fare colpo: i chiaroscuri che mettono in risalto refrain molto ariosi (quello ingentilito dall’harpsichord in ‘Mer än Väl’ è forse il migliore), l’inclinazione sottilmente malinconica, l’equilibrio di sobrietà e disinvolto talento, un controllo ed una calma assoluti che finiscono per infondersi anche in chi presti orecchio. E poi il garbo, l’onestà con la quale l’artista di Helsinki si racconta e in un certo senso si mette a nudo, senza mai uno strappo, un’esagerazione, una nota fuori posto o di troppo. Chi tema un disco eccessivamente umbratile o austero può comunque tranquillizzarsi: a conferma della piena padronanza di Anna alle prese con i registri più disparati, dopo un avvio per così dire riflessivo, nella seconda parte l’album svolta con decisione e si rivela via via più solare, amichevole, gradevolmente confidenziale, dalla serenità scintillante e lo straordinario nitore di ‘En Sommardag Som Stängs Av’ alla spensierata freschezza estiva di‘Regna Bort’ (che fa sua la lezione dell’indie-pop “agreste” degli ultimi Club 8), passando per la grazia sontuosa ma non barocca dell’accompagnamento della Stockholms Akademiska Orkester in ‘Händer’. Un disco semplice ma coinvolgente insomma, intimo e classico al tempo stesso, ideale per le serate calde che stanno arrivando ma perfetto probabilmente anche per l’inverno. Di sicuro, una delle più gradite sorprese del 2011.

 

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