Cornershop @ Spazio211

30-11-2009

 

Tra le band del mio passato remoto, i Cornershop erano sicuramente una di quelle che mai avrei immaginato di vedere dal vivo a distanza di così tanto tempo dalla rispettiva età dell’oro. Non ci andavo pazzo anni fa, pur trovandoli evidentemente simpatici vista la loro strutturazione multietnica e data la presenza di un frontman di origini indiane. Alcuni dischi glieli ho anche comprati, in un certo senso era inevitabile, poi le nostre strade si sono separate come è naturale che accadesse. Io ho approfondito con la musica venendo via via colpito da ben altre influenze, loro hanno invece imboccato la strada del dimenticatoio, sparendo quasi di botto dalla circolazione. C’é voluto il loro nome sul programma di Spazio perché venissi a conoscenza di un loro imprevisto (ma tutto sommato gradito) ritorno. Non solo con un tour in giro per l’Europa, che è quasi sempre la tappa forzata (e spesso la sola) di ogni reunion che si rispetti (a proposito, se qualcuno mi desse notizie in merito ad eventuali concerti in Italia per Dodgy e Urge Overkill – tanto per citarne due tra i miei preferiti dei ’90 – mi farebbe un grosso piacere), ma anche con un disco nuovo di zecca di cui da queste parti non ha parlato praticamente nessuno. Non che ci si sia persi molto, intendiamoci: un album tutt’altro che esaltante ed anche molto meno coraggioso dei suoi predecessori a marchio Cornershop, considerato il suo appiattimento su un innocuo pop beatlesiano/kinksiano molto british e poco pepato, gradevole ma privo di quella curiosissima verve meticcia che nel passato della band inglese aveva scritto pagine di assoluto interesse. Per la serata del trenta novembre, trentacinquesimo anniversario di nozze dei miei genitori (ma ci si può sposare il trenta di novembre?), ho scelto dunque di dedicarmi alla riproposizione live delle canzoni di un recente ed anacronistico album, da una band non recente ma anacronistica di sicuro. Tante le sorprese, riportate a caldo nel report scritto per IR: innanzitutto un pubblico non proprio esiguo ed in buona parte composto da ventenni. Quindi la sostanziale buona forma di una band alquanto nutrita e presentatasi al nostro cospetto in vesti tutto sommato umili, senza spocchia da sopravvissuti rientrati in pista, senza l’arroganza di certi veterani: con una solenne dignità che ha illuminato lo show, molto bello e toccante se non si considera una partenza lenta e tutt’altro che brillante. Avevano bisogno di sciogliersi un po’, soprattutto il timidissimo Tjinder Singh, ma siamo stati ripagati con un concerto d’altri tempi. Decisamente pimpanti i pezzi nuovi (forse la critica inglese li ha promossi a pieni voti dopo averli ascoltati dal vivo, visto che su disco sanno un po’ troppo di brodino riscaldato), freddina ma rigorossissima la ‘Brimful of Asha’ tenuta come fuori dai riflettori (per paura che si sciupasse, o per non sciuparsi loro, boh?), e poi i venti minuti finali in compagnia di una ‘6 A.M. Jullandar Shere’ travolgente, forse la migliore versione live di un brano sentito da me l’anno passato: armonica, torrenziale, estremamente vitale ed attualissima, nonostante quindici anni e passa di stagionatura. Sarebbe bastata da sola questa canzone ad emettere un giudizio positivo, c’é stato anche tutto il resto per cui questa esibizione dei redivivi Cornershop si è rivelata un graditissimo regalo oltre che l’ennesimo, non preventivato, ritorno al futuro di questi ultimi tempi. Il prossimo tra due giorni con gli Stone Temple Pilots. Per pudore forse avrei fatto meglio a non scriverlo.

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