Blue Movie _Letture

       

Nella recensione su Anobii l’ho definito una via di mezzo tra “Effetto Notte” (per le atmosfere e la vita sul set) e “Nynphomaniac” (per i contenuti e i loro eccessi). Ora mi aggrappo alla definizione cercando qualche imbeccata per un testo letto poco più di due anni fa e del quale è rimasto, nei miei archivi di memoria, proprio poco o nulla. Ricordo di aver riso, qua e là, specie nelle battute iniziali. Ricordo un’arguzia da volpone dello spettacolo che ne sapeva, eccome. Ma ricordo anche quell’impressione di scherzo tirato troppo in lungo, e poi uno di quei finali da lancio di ortaggi marci. Insomma, qualche buono (anche buonissimo) spunto e altrettanti *meh*. Carino ma trascurabile.

Boris Adrian è il miglior regista cinematografico al mondo. Seppur giovanissimo, si è già aggiudicato una quantità improbabile dei più ambiti riconoscimenti nei festival di mezzo mondo, riuscendo nell’impresa di mettere d’accordo sul proprio conto critica e pubblico, e conquistando a mani basse l’appellativo di “Re del grande schermo”. Sfiancato dai riscontri unanimi, l’autore sembra tuttavia aver perso ogni stimolo e la sua carriera langue, letteralmente ferma al palo da due anni nonostante le offerte che un ruspante amico faccendiere, Sidney “Sid” Krassmann, non ha mai mancato di procacciargli. E’ in occasione di una festa a dir poco “libertina” che l’annoiato Boris trova nelle seduzioni di una nuova sfida impossibile la determinazione per tornare a cimentarsi con la macchina da presa, imbarcandosi in quella che ha tutti i contorni dell’autentica missione: dimostrare al bel mondo di Hollywood che è possibile realizzare un film pornografico dal preminente profilo artistico. Grazie ai capolavori diplomatici del navigato collaboratore, troverà il modo di veder finanziata l’improbabile pellicola con fondi messi a disposizione dal principato del Liechtenstein – a patto che l’opera venga girata e proiettata in via esclusiva nel piccolo stato mitteleuropeo, come chiave di rilancio per l’inesistente turismo locale – e di farvi recitare da protagonista indiscussa nientemeno che Angie Sterling, diva più splendente del cinema mondiale, in barba alle restrizioni impostele da chi (agente e produttori) cura in maniera categorica ogni dettaglio dell’immagine e della carriera della diva.

Certo le reali intenzioni del visionario regista sono note solo ai suoi più stretti collaboratori ma non agli attori reclutati, per lo più stelline di film “balneari”, celebrità mondiali delle pellicole d’intrattenimento per adolescenti o attempate (e discinte) professioniste del Silver Screen già decisamente “arrivate”. Sul set ci sarà spazio per ogni sorta di esagerazione legittimata in nome dell’arte e avranno modo di risplendere le scintillanti doti di equilibrismo diplomatico dello spregiudicato artista e del suo fidato staff di manigoldi (che comprende anche l’ardito sceneggiatore Tony Sanders – alter ego del romanziere – e l’eclettico scenografo omosessuale Nicky Sanchez), specie nell’estenuante gestione della capricciosa attricetta, adescata con le lusinghe di una grande svolta artistica personale e via via logorata psicologicamente, umiliata, narcotizzata e indirizzata al più tragico dei gesti che non fermerà peraltro il perverso magnate necrofilo C.D. Harrison dallo sfruttare per profitto anche la più sfavorevole (e luttuosa) delle situazioni.

Fa oggettivamente impressione il curriculum di Terry Southern, uno scrittore che per il Cinema (con la maiuscola) ha lavorato a lungo riuscendo ad apporre la firma su testi davvero pazzeschi, dal soggetto di “Barbarella” alle sceneggiature de “Il Dottor Stranamore” (qui anche citato) e “Easy Rider”, oltre a quella determinante sponsorizzazione nei confronti di William Burroughs e del suo “Pasto Nudo”. “Blue Movie” è una delle sue opere più folli, dissacranti, e riflette il suo spirito di radicale libertà in tempi di profonde rivoluzioni per il costume. Questa carica esplosiva e prorompente riesce incontenibile in quella che è in fondo una prolungata e gioiosa provocazione, un romanzo esplicito come mai fino ad allora e, in primo luogo, una brutale messa alla berlina del dorato universo delle megaproduzioni hollywoodiane, delle sue ipocrisie allucinanti, dei suoi tic perbenisti stereotipati nel quadro di una generale aurea mediocritas operativa. Per tormentar la piaga, Southern sceglie di affidarsi a un paio di protagonisti emblematici nelle loro qualità iperboliche (e simboliche): il creativo assoluto che sul set è un cinico manipolatore, fior di psichiatra che “muove gli attori come le proverbiali pedine sulla scacchiera, ottenendo più di quanto non siano in grado di dare”, e non prova alcun rimorso anche quando il suo progetto naufraga nel dramma; e poi la diva assoluta, inarrivabile per la mole di incassi generati (che il genere sia “tette e culo” non importa), in apparenza mangiatrice di uomini ma di fatto ingenua e fragilissima, nell’infruttuoso inseguimento di vane velleità artistiche, schiacciata dai vincoli imposti da chi ne ha fatto una stella incapace di brillare di luce propria, ma anche da chi non esita a prometterle l’opportunità di un riscatto anche umano, chiedendole in cambio il più avvilente dei sacrifici.

In questo quadro disarmante non c’è salvezza per nessuno e tanto vale lasciarsi andare al corrosivo piacere di uno scherno generalizzato, in campo lungo come nel più impegnativo (e impietoso) dei primi piani. Funziona e bene, “Blue Movie”, come romanzo demenziale a ritmo adrenalinico, esilarante commedia degli equivoci in cui i paradossi si presentano in sequenza e non c’è un attimo per rifiatare. Convince meno l’esuberanza a luci rosse del testo, nelle battute iniziali sorprendente, disinvolta, non priva di ironia e perfino di una sua eleganza, ma alla lunga ripetitiva e fastidiosa nell’efferata e meccanica ostentazione di oscenità, proprio come la realtà che vorrebbe demolire di schianto. Complice un finale debolissimo e raffazzonato, sorta di farsa fantapolitica, non ha modo di – e nemmeno prova a – elevare il canovaccio dal tenore di uno scherzo tirato troppo in lungo. Peccato, perché poesia e intuizioni parrebbero nelle corde dell’autore, perché i passaggi intelligenti non mancano e ci si trova a ridere spesso e volentieri di gusto. Il clima vivace e irriverente dell’epoca si coglie con buona verosimiglianza a più riprese e l’invecchiamento risulta oggi marginale. Spiace che non si sia voluto affondare il colpo portando questo caustico pamphlet a un livello più elevato della semplice, torbida burla. Un’occasione mancata, quindi, più che altro.

(6.8/10)

4 Comments