Month: agosto 2013

In viaggio contromano  _Letture

      

Gran belle sorprese Michael Zadoorian e il suo “Leisure Seeker”. Per chi ama la scrittura del miglior Douglas Coupland, infarcita di sguardi sempre colmi di meraviglia sulla vita, di ironia (rigorosamente senza cinismo) e talento nell’ordinario, un libro che non deluderà. Sorprendente soprattutto l’immedesimazione dell’autore in un io narrante donna e in età avanzata, protagonista vivacissimo di un romanzo scritto evitando i colpi di teatro ruffiani eppure toccante come di rado ne capitano, inesorabile nella presentazione del proprio punto di vista su un tema di scottante attualità come l’eutanasia, eppure gentile nel non proporsi con chissà quali irriducibili verità, anzi, alquanto tollerante nel proporsi come una voce tra le tante. Al centro, un’umanità tanto convincente da un punto di vista letterario quanto genuina sul piano delle emozioni: dignitosa, onesta, autentica, con i suoi messaggi non banali sull’amore, la malattia, la morte. Se avete un cuore, questo libro lo accarezzerà. A me, almeno, è andata così. E non vedo l’ora di affrontare quella che è considerata l’opera migliore dell’autore, “Second Hand” (prima però devo comprarlo: in biblioteca non si trova). 

Ella e John sono sposati da quasi sessant’anni. Una coppia solidissima di individui ormai molto fragili. Lei è malata di cancro in fase terminale, lui ha un Alzheimer galoppante che lo costringe ad un eterno presente in cui la ragione fa capolino solo di rado e per pochi, preziosi attimi. Lei minata nel fisico, lui nella mente, sono comunque una persona intera a patto che restino insieme, inseparabili, in perfetta simbiosi. Ella è l’io narrante schietto ma cordiale, il “capitano di questa nave di pazzi”, e il libro funziona come suo personale diario di bordo in un ultimo viaggio verso il crepuscolo da compiersi senza fretta, tensioni o timori di sorta, e senza rimpianti soprattutto. Una vacanza necessaria, programmata in barba ai dettami (e all’accanimento) dei medici e all’ansia dei parenti più prossimi, una figlia e un figlio di mezza età che sono rimasti a grandi linee i frugoletti dei giorni più spensierati. La prospettiva è quindi quella di persone semplici, genuine e di sani principi, da sempre chiamati a viaggiare come turisti, per divertimento, non certo per allargare i propri orizzonti. L’avventura di “In Viaggio Contromano”, tuttavia, è diversa. Non un itinerario alla scoperta di luoghi bensì alla riscoperta di se stessi, dei propri limiti, per poterli scavalcare e per concedersi, con il lusso della scelta, il più degno e appagante degli approdi.
“Leisure Seeker” è il romanzo della gente “che resta”. Di quelli che viaggiano per apprezzare ciò che hanno. Che non sono destinati a traguardi clamorosi, a nulla di straordinariamente bello o brutto, che si barcamenano con le proprie regole tra lavori, mutui, abitudini, gioie e sofferenze spicciole e potranno dirsi realizzati solo con l’amore e il benessere dei propri cari, con la solidità di una casa a cui tornare sempre. Ella e John sono la casa l’uno dell’altra, insieme, fino all’ultimo istante e nella più remota delle avversità. Forse è per questo che la sola vera preoccupazione dell’uomo, puntualmente silenziata dalla presenza stessa della moglie, è se siano o meno a “casa”. Poi certo, nel libro di Zadoorian c’è molto di più: ironia, amarezza, ricordi personali e fette più o meno significative di una memoria collettiva, condivisa, oltre a una bella sfilza di imprevisti e accadimenti curiosi, stravizi, medicine e cocktail galeotti, che contribuiscono a rendere agile e molto piacevole la lettura con il suo carico di riflessioni tutt’altro che banali.
“Il mondo è pieno di luoghi dove vorrei ritornare”. Si apre così il romanzo, con questa citazione, e sin dalla prima tappa, luogo di una lontanissima luna di miele compiuta in Greyhound, si snoda come lunga escursione a ritroso (contromano) nei giorni fondamentali di un passato magari modesto ma entusiasmante perché costruito sempre in due. E il cammino stesso, il teatro di questo ritorno, è la leggendaria Route 66, coprotagonista assoluta e mito per intere generazioni di lettori che, avendola percorsa in tenera età, non potranno che voler tornare a vederla presto o tardi. Sotto le ruote del piccolo ma fidato Leisure Seeker c’è lei, bistrattata e disgregata già negli anni sessanta, tra tratti chiusi, sepolti, restituiti alla natura selvaggia o rimpiazzati dalle immancabili e odiose autostrade a quattro corsie, figlie di un progresso impassibile che non fa sconti. Fuori dai finestrini scorrono invece gli Stati Uniti minori, marginali, infinita provincia e frontiera che fu, dove “il pacchiano diventa grandioso” e “il cattivo gusto è moneta corrente” (memorabile la statua gigantesca di Paul Bunyan, come in “Fargo” dei fratelli Coen), dove cittadine un tempo floride languiscono nell’ipocrisia dell’abbandono (tipo la mitica Gary, Indiana, qui soltanto menzionata) a testimonianza di una transitorietà che fa da monito ricorrente e fin troppo emblematico.
Dieci capitoli, dieci stati in un tragitto dalla depressa Detroit, Michigan, alla scintillante Disneyland in California, come implicito consuntivo su una vita ricca e regolare, pur nei limiti della sua tranquilla mediocrità. Sono le puntuali proiezioni serali di diapositive di famiglia a rendere inequivocabile la sua peculiarità come raccolta di istantanee. Bastano un rumore, un profumo o un colore a spezzare la cronaca, gradevole nella sua franchezza, con inserti della memoria intrisi di misurata nostalgia e calda, frugale meraviglia, per regalare alla narrazione quel respiro speciale con il suo sguardo diverso sulle cose, intimo e sentimentale ma mai patetico. Scrive in maniera limpida Michael Zadoorian, da virtuoso dell’ordinario, con quel tono informale e amichevole, per nulla ricercato, che evita accuratamente voli pindarici o spocchiosi bizantinismi ma sa rendere con straordinaria verità la tenerezza tra i due coniugi, risultando commovente senza forzature meschine, in modo pulito. Ha un tocco di deliziosa umanità à la Coupland (il senso di consolante irrilevanza al cospetto del Grand Canyon, l’illusione che la vita possa durare per sempre quando ci si specchia nella compiutezza di un cielo o di un oceano) e se ne serve con estremo profitto nelle sue frequenti (diciamo pure ininterrotte) considerazioni sul tempo che corre, il passato che sbiadisce nei pensieri, la vecchiaia, la malattia, l’eutanasia, il mistero della morte. Nondimeno ricorre continuamente a metafore di evidente efficacia, dalle città fantasma alla piattezza standardizzata dei luoghi comuni legati al mito della Route 66, alla paura del buio e della notte con tutte loro implicazioni.
Disneyland è la meta ultima, l’emblema dei tanti “momenti perfetti” di felicità condivisa con i propri figli piccoli, e attraverso i loro occhi di bambini. Un “luogo della memoria annidato in un anfratto profondo” del proprio essere, “un mondo splendente di energia e luce, dove i colori sono diversi rispetto alla terra” o “forse noi diventiamo i colori, la luce che si riversa sul castello dal cielo”. La ricerca della capacità di meravigliarsi ancora come una volta, senza affidarsi alle illusorie promesse di religioni e paradisi, diventa allora il vero scopo del viaggio di Ella e del suo ormai inconsapevole John. Una prospettiva serenamente laica e innocente che illumina il “lieto fine” anomalo delle battute conclusive, rendendo quasi impossibile per il lettore sottrarsi all’immedesimazione empatica nella pienezza di un amore che superi anche l’ultimo steccato.
Un gran bel libro “Leisure Seeker”, sincero e toccante con la sua semplicità autentica.

0 comment

System Preferences

       

Comincio ad avere da parte un bel manipolo di recensioni uscite negli ultimi otto mesi sulle pagine di Ondarock, per cui mi sembra ragionevole iniziare a ripresentarle qui sul collettore prima di ridurmi a farlo nel decennale dall’uscita dei relativi album, o giù di lì. Molto lieto allora che il primo recupero spetti a un disco che lo scorso anni ho piazzato nelle posizioni calde della mia personale classifica e che è rimasto, nonostante le lodi sperticate del mio pezzo uscito a fine anno, praticamente una meteora non meglio identificata, almeno qui in Italia. Disco magnifico questo settimo degli Earlimart, una di quelle formazioni eternamente considerati minori eppure capaci di stupire di tanto in tanto con splendidi numeri a effetto. Ci erano riusciti ad esempio dieci anni fa giusti con “Everyone Down Here”, lavoro obliquo nel solco dell’indie-rock yankee prima maniera, grandaddiano e intelligente, che strappò a quelli di Pitchfork un lusinghiero 8.5. Questo prima di riciclarsi (chissà poi quanto consciamente) nei panni di quelle tipiche formazioni a due – un lui e una lei in relazione blindatissima – esaltazione stessa del concetto di carineria radiofonica, con gran messe di brani (immancabilmente romantici) saccheggiati dalle serie televisive a sfondo ospedaliero in un circolo vizioso assai poco edificante. Questo “System Preferences” marca un ritorno dopo tanto, troppo tempo. Non proprio un ritorno all’antico, questo no (anche se c’è dentro un pezzo trottante e rumoroso – so nineties verrebbe da dire – che dopo un anno continuo a trovare esaltante: “Internet Summer”), ma ad una condizione di felice equilibrio e scrittura ispirata direi proprio di sì. Una raccolta di canzoni notturne, imbevute di malinconia ma senza l’ombra di un compiacimento. Anche una sorta di laica preghiera nei confronti di un amico dei bei tempi andati, quell’Elliot Smith con cui condivisero tanti palchi e tanti viaggi, non solo in California. Uno degli episodi più toccanti è per lui, un altro paio sembrano cantati e suonati da lui: non certo un’operazione da sciacalli, visto il legame che esisteva tra loro e il tanto tempo passato dalla morte dell’ex frontman degli Heatmiser. Al contrario, un omaggio pulito, e anche una sincera convergenza d’intenti, emozionali ed espressivi. Spiace che tutto questo – ma anche il lavoro condiviso dai due Earlimart con Jason Lytle e Aaron Burtch dei Grandaddy sotto le spoglie dell’ammiraglio Radley, ormai tre anni fa – sia passato sotto traccia. E’ un disco che parla in maniera non banale delle ombre che la tecnologia proietta sulle relazioni umane. Scritto con il cuore e con grande sapienza da una coppia di artisti di spessore, che meriterebbe ben altra fortuna e ben altre platee. Ma tant’è. Intanto un ascolto che colpisca nel segno e spinga a farne tesoro vale già molto, moltissimo. Gli Earlimart ne erano capaci dieci anni fa e ne sono capaci ancora.

0 comment