How Will You?

 

Azita Youssefi ama recitare nei panni della trasformista. Forse meno schizofrenica di un tempo nell’orientare nuovi cambi di direzione, la cantautrice e musicista chicagoana di origini iraniane continua a stupire con l’ennesima svolta di una carriera già corposa e si fa apprezzare per la "giustezza" del cambio d’abito e di stile approntato anche in questa occasione, particolarmente adatto ai suoi trentotto anni. Non tenessimo conto dello spessore autoriale che pure si fa sentire, potremmo immaginarla come esordiente disinvolta ed appassionata, appena diplomata al conservatorio. All’inizio, in effetti, Azita era così: disciplinata e personale, classica ma intraprendente. Dai primi passi al maturo ‘How Will You?’, uscito da appena qualche mese, è passata però tanta di quell’acqua sotto i ponti da far pensare che siano esistite almeno tre artiste col suo nome in momenti ben diversi di questi ultimi vent’anni (!). E’ stata una scapestrata freak alla guida di improbabili band no-wave in una fase in cui queste devianze artistiche erano decisamente sensate: suonava conciata come una mummia nelle Scissors Girls e agghindata con burqa bianchissimi nelle Bride of No-No. Erano gli anni in cui a Chicago gli Smashing Pumpkins suonavano in locali malfamati insieme ad una drum machine: una vita fa, evidentemente. Poi ha scoperto il fascino un po’ sbracato delle sperimentazioni pop, con album magari zoppicanti ma non privi di luce (preziosissimo ‘Life on the Fly’). Oggi la chiusura del cerchio si concretizza con questo ammaliante e intensissimo lavoro, uno scrigno che la premia soprattutto come cantante adulta e convincente, sorta di incrocio di mille umori vocali al femminile: Patti Smith nella sua accezione più rock, Nico per le inquietudini notturne, Thalia Zedek in quanto a taglio sensuale e Carla Bozulich (ma anche Tori Amos) come inclinazione artistica. Veramente notevole, peccato che da noi non se la sia mai filata nessuno.

 

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