Il gigante

 

Vic Chesnutt è forse il mio massimo eroe in ambito musicale. Il termine eroe non ha neanche troppo senso, in realtà ho smesso di avere eroi da quando ero in tenera età e mi cullavano la vita certe figure forti, soprattutto all’interno della famiglia. OK, gli eroi non esistono, ricominciamo il discorso. Vic Chesnutt è un grandissimo personaggio, forse quello che preferisco in ambito musicale. Banalizzare il senso dei propri argomenti parlando un po’ a sproposito di eroismo mi porta fuori strada. L’eroismo non è certo del ragazzino che si ubriaca e si schianta con la macchina. C’è la pena nei suoi confronti, che passa sopra tutto il resto. Ma l’eroismo è quanto di più fuori luogo. Ci sarebbe la rabbia per chi getta alle ortiche la propria vita e potrebbe fare lo stesso di quella altrui, il ché è anche peggio. Certo a diciotto anni si può sbagliare. E’ umano farlo ed è umano riconoscerlo. La parabola di Vic, dalla caduta alla riscossa, non è altro in fondo che un grande racconto di umanità. E ha dentro talmente tanto di questa materia che ci si può confondere parlando di eroismo. Vic Chesnutt non è un eroe ma una specie di gigante. Un piccolo grande uomo ed un piccolo grande cantastorie, senza eguali.

Per me ha rappresentato un tassello fondamentale. A sedici anni ascoltavo quasi esclusivamente dischi mainstream pubblicati dalle major e lanciati nella programmazione della MTV (americana) in heavy rotation. Dischi che oggi non ascolto praticamente mai ma dei quali non mi vergogno: Pearl Jam, Soundgarden, Nirvana, Radiohead, R.E.M., Smashing Pumpkins, Soul Asylum, tanto per citare i migliori. Di alternativo nulla eccetto un piccolo gracchiante folksinger di Athens. Come sempre all’epoca, mi bastò leggere da qualche parte di questo menestrello vicino di casa della mia band preferita, prodotto nelle prime incerte uscite discografiche addirittura da Michael Stipe (non Peter Buck, come sarebbe stato logico). Mi imbattei in tutti i primi dischi di Chesnutt da ‘Rock & Folk’, che all’epoca non stava ancora in via Bogino bensì in via Viotti. Facevo quinta ginnasio, spendevo tutti i soldi in dischi, anche se i soldi erano veramente pochi, diciamo buoni per un paio di CD al mese. Per questo motivo quella volta decisi di acquistare il primo album di quel cantante misterioso e quello nuovo nuovo, ‘Is The Actor Happy?’, anche perché avevo letto che Stipe cantava in un brano. Costavano una bella cifra come da tradizione di quel negozio di sanguisughe e non me ne capacitai: non riuscivo a capire perché dischi di etichette e artisti sconosciuti costassero anche più dei nomi miliardari sulle label colossali. Mi consolò il bel cartonato di ‘Is The Actor Happy?’. Nel ’95 confezioni non in plastica erano davvero una novità assoluta, soprattutto in Italia. Avevo letto che Vic aveva voluto espressamente che il nuovo disco non avesse i soliti case di plastica come personale risposta alla fragilità: "Cadono e si rompono e io ne so qualcosa di cosa significa essere rotti".

Entusiasta degli ascolti di quella musica così diversa da quella che mandavo a memoria in quegli anni da adolescente convenzionale (ma non troppo), tornai da ‘Rock & Folk’ neanche un paio di settimane dopo pronto a fare miei anche ‘West of Rome’ e ‘Drunk’. Non li trovai più, qualcuno mi aveva preceduto. Li ordinai e tornai il mese seguente, invano. Riprovai ancora e ancora ma non arrivavano. Intanto uscì ‘About To Choke’, che per fortuna riuscii a trovare. Anche ‘The Salesman & Bernadette’, acquistato addirittura da ‘Ricordi’. Ma quei dischi, stramaledizione, non mi sono mai arrivati. I commessi di ‘Rock & Folk’ mi spiegarono un giorno che la miserabile etichetta di Chesnutt aveva chiuso i battenti e i dischi non si trovavano nemmeno di importazione, che avrei dovuto attendere una ristampa. E così fu, ma nel 2004 o 2005, praticamente dieci anni dopo il primo tentativo. Avrei detto che di Chesnutt non si sarebbe più sentito parlare e invece ogni tanto lui si è fatto vivo di nuovo. Il penultimo passaggio, ‘North Star Deserter’,  è qualcosa di memorabile. Sarò di parte ma credo sia uno dei migliori dischi usciti negli ultimi dieci anni. Uno dei pochi che resteranno e diventeranno ‘classici’. Nell’intervista che gli ho fatto, solo via mail ma comunque emozionante, Vic è stato di poche parole, stringatissimo ma gentile, simpatico anche. Ha annunciato un paio di nuovi dischi già pronti, uno dei quali con Guy Picciotto e i Silver Mt. Zion, di nuovo. Fantastico! Nell’attesa (enorme) di vederlo finalmente dal vivo, questa è davvero una grandissima notizia. Grande come lui.

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