The Threshingfloor

         

Si fa presto a parlare di etnofolk. Ho da poco recensito il nuovo album di Piers Faccini ed ho sottolineato come il respiro di una world music senza frontiere riesca ad animarne le canzoni di sussulti e suggestioni, prendendo abbastanza chiaramente il posto della più tradizionale matrice folk britannica nell’impronta del songwriting. Che il genere sia comunque molto più vario di quanto si possa immaginare lo dimostra il confronto con quest’altro disco raccontato giusto un annetto fa nella top 10 del 2010 scritta per monthlymusic.it: ‘The Threshingfloor’, lo stimolante ritorno di David Eugene Edwards allo scuro misticismo dei 16 Horsepower. Quel che maggiormente mi ha fatto apprezzare l’ultimo lavoro dei Woven Hand rispetto ai suoi immediati predecessori è stato proprio l’impulso marcato alla contaminazione, un’esigenza che Edwards ha saputo assecondare senza tradire il proprio background “gotico” americano ed anzi arricchendolo grazie alle più svariate influenze esterne. Rispetto alla recente fatica di Faccini, l’album dei Woven Hand è stato sviluppato all’interno di una cornice comunque molto coerente che, con sguardo semplicistico, si potrebbe definire “taglio spiritualista”. In poco più di quaranta minuti convivono il tipico desert folk del cantautore del Colorado, il country espressionista e la vena del predicatore della sua vecchia band, l’ascetismo dei nativi americani in una versione assolutamente credibile e mille altre arcaiche sensazioni, esotismi e mediorientalismi inclusi. Il risultato non è il pastiche ridondante che potrebbe sembrare perché Edwards si è rivelato abilissimo nel rendere armonico l’incontro tra i tanti mondi musicali chiamati in causa, evitando che una sola delle singole componenti potesse prendere il sopravvento ed assicurando al tempo stesso quella coerenza di fondo grazie alla sua voce inconfondibilmente tenebrosa ed al prevalere di sonorità acustiche febbrili e polverose. Etnofolk lontano tanto dal bozzettismo dei lavori studiati a tavolino quanto dall’odioso effetto cartolina che spesso il meticciamento sonoro comporta. Un disco, questo ‘The Threshingfloor’, che merita di essere riassaporato di tanto in tanto in attesa del prossimo passo discografico di Edwards. Pensavo si potesse già trattare di quel ‘Black of the Ink’ uscito due settimane fa per Glitterhouse, invece no: è solo una mini raccolta di brani vecchi riarrangiati, abbinata ad un elegante volume con tutti i testi di questo straordinario predicatore contemporaneo.

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