Una cosa divertente che non farò mai più            _Letture

    

Decisamente soft il mio primo incontro con l’opera di David Foster Wallace. Diventato celebre in anni in cui avevo mandato la letteratura di ogni sorta al confino, totalmente assorbito da altre passioni e dalla lettura dei troppo spesso indigesti manuali universitari, questo momento non poteva che essere procrastinato fino a dopo la morte dello scrittore statunitense, quasi fosse programmato che non avrei avuto il piacere di aspettare una sua eventuale prossima uscita con l’insofferenza tipica del seguace fidelizzato. Meglio così forse, il suicidio degli artisti che più amo mi risulta particolarmente insopportabile. Dovevo scegliere un punto fermo dal quale partire ed avrei optato senza troppi timori reverenziali per ‘Infinite Jest’, se solo l’avessi trovato in biblioteca. “Compri tanti dischi, comprati qualche libro”, mi si contesterà. E’ vero, ma il fatto è che per mia natura tendo a non fidarmi troppo e di certo non compro (quasi) mai a scatola chiusa, non nel caso di un voluminoso e controverso tomo da 1400 pagine di narrativa postmoderna, per lo meno. Che poi già so che sarà amore, me lo sento. Ho mandato giù ‘L’Arcobaleno della gravità’ senza troppi patemi e mi è piaciuto, figuriamoci. Amo la scrittura brillante ma non paracula e più di tutto apprezzo l’intelligenza. Ecco, questo breve saggio molto particolare – da me preferito alle raccolte di racconti solo perché per apprezzare davvero i racconti devo sentirmi assolutamente ispirato verso essi (diciamo che devo essere in “modalità racconto”, ed in questo momento non lo sono) – ha soddisfatto agevolmente entrambi i criteri convincendomi. Nel suo genere, sempre che esista, potrebbe essere quasi un capolavoro: è caustico, preciso, divertente, onesto e soprattutto sincero. Forse perché non filtra quella sottile tristezza che Wallace aveva nei giorni in cui lo scrisse, vivendo l’esperienza allucinante di una megacrocera ai caraibi. Solo uno stuzzichino in attesa di qualcosa di più probante, però non male davvero.

Una settimana in compagnia dell’”agorafobico borderline” David Foster Wallace sui bianchissimi ponti della nave da crociera extralusso Zenith, affettuosamente ribattezzata Nadir, in navigazione tra la Florida e i Caraibi. Sotto la rassicurante cappa di un sole che sembra programmato in base alle esigenze e di un’immensa volta celeste color lapislazzuli, nella rinnovata bambagia di temperature rigorosamente uterine, seguiamo la genesi di un lungo articolo commissionato allo scrittore dalla prestigiosa rivista Harper’s nella primavera del 1995 e reso assolutamente imperdibile solo e soltanto dallo sguardo illuminante del suo autore. Un reportage informale, un diario pungente vergato con mirabile acume psicologico, sociologico e semiologico, ma senza alcuna pretesa di infallibilità. Disincantato, onesto, preciso, feroce, impietoso ed ironico ma assai meno esilarante di come lo si è spesso descritto, anzi, amarissimo nella lucidità della sua analisi, sgravato da qualsivoglia scoria di cinismo eppure abbandonato ad una sottile ma rassegnata tristezza di fondo. Ad emergere a più riprese segnando il tono della trattazione assai più del fine umorismo è un senso di vigile disperazione, legata soprattutto al fatto di non potersi emendare completamente dalla propria sostanziale e sgradevole natura di americano benestante. Il pessimismo di un Wallace ancora poco più che trentenne è l’autentico certificato di qualità di questo libello agile e a suo modo appassionante, prezioso nel raccontare senza belletti la stremante fatica del divertimento a tutti i costi, il vizio pianificato al millimetro, l’assurdità di una certa sterilizzata filosofia di vita e di riposo. E’ il segno tangibile di un’intelligenza rara ed incapace di abdicare anche di fronte agli inevitabili “rinculi interiori politically correct”, particolarmente viva nelle pagine cruciali in cui è descritto il significato più profondo delle allucinanti esperienze di questo tipo: <<Una vacanza è una tregua dalle cose sgradevoli, e poiché la coscienza della morte e della decadenza è sgradevole, può sembrare strano che la più sfrenata fantasia americana in fatto di vacanze preveda che si venga schiaffati in mezzo ad una gigantesca e primordiale macchina di morte e decadenza. Eppure, sulla crociera extralusso 7NC, veniamo coinvolti con abilità proprio nella costruzione di svariate fantasie di trionfo sulla morte e sulla decadenza>>.
Un saggio brillante e ancora incredibilmente attuale, che si lascia leggere e rileggere volentieri.

0 comment

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *

Comment *