Write About Love

 

Il pezzo dello scorso ottobre per Monthlymusic è stato un esperimento. Ero partito ovviamente con le migliori intenzioni e avrei scritto la solita mezza paginetta ad ampio raggio, anche retrospettivo, non mi fossi imbattuto in un disco invero deludente come questo. Arrivavo da un trimestre di recensioni per forza di cose orientate al passato e non troppo lusinghiere, per cui un'alternativa mi è parsa necessaria. La soluzione è arrivata dal titolo stesso di questo settimo LP della band scozzese, traducibile senza separazioni con la frasetta "I Belle and Sebastian scrivono a proposito dell'amore". Ho recuperato tutti i testi delle canzoni pubblicate dal gruppo di Glasgow tra il 1996 ed il 2007. Ho estrapolato qualche succoso stralcio sul tema, anche solo un'istantanea suggestiva, e con un minimo di ardito taglia&incolla ho plasmato una sorta di vaporosa polifonia – in realtà un dialogo – con le loro stesse parole. Da un lato l'anima romantica, dall'altro quella nihilista ('I Don't Love anyone' il paradigma), come facce contrapposte della stessa medaglia. Il risultato, me ne rendo conto, si è rivelato molto meno soddisfacente della preparazione e del giochino in sé, ma d'altro canto ridurmi ad analizzare 'Belle & Sebastian Write About Love' con gli strumenti soliti sarebbe stato anche meno edificante. Per parlare di loro guardando indietro, spiegando magari come e perché ne sia uscito così influenzato, c'é sempre la possibilità di una scheda appositamente dedicata su questo blog: riascoltare i loro vecchi dischi è sempre una piacevolissima attività, per cui non escludo di farlo, magari anche in tempi brevi. Per l'album in questione è invece più che sufficiente questo post. Anche a diversi mesi dall'uscita c'é ben poco che mi senta di salvare. La copertina per esempio, ennesima fotografia di ragazza pensosa in seducente tinta monocroma (rosa a questo giro, ma quella in bianco nero, poi scartata, mi piaceva decisamente di più). Tra le canzoni qui raccolte un paio sono buone: la graziosa title track, la cui freschezza suona ancora sincera, poco artificiosa, e l'ordinaria amministrazione gradevolissima di 'Ghost of Rockschool', dalle melodie in realtà risapute ma premiate nella loro pacatezza dopo la pacchiana frenesia di 'I'm Not Living in the Real World'. Ecco, quest'ultima è realmente terribile, mi lascia indeciso tra il "deprimente" e l'"irritante", coi suoi coretti osceni, la sua odiosa melassa e quella overproduzione che da ai nervi. Il resto si colloca tra i due estremi: troppo poco considerando che gli up sono in realtà passaggi di medio livello. Discreto mestiere e buone sfumature quando Sarah Martin convince ('I Can See Your Future') o tono umilissimo da riempitivo quando non entusiasma ('I Didn't See It Coming'); il decente compromesso tra vecchio e nuovo stile, con veste maliziosa ma un po' stucchevole ('I Want The World To Stop'), essenzialità che affascina ma senza che ci si strappi le vesti ('Calculating Bimbo'), il manierato synthpop iperglassato di 'Come On Sister' – non particolarmente indicato per quelli che come me non abbiano amato lavori tipo 'The Life Pursuit' o 'God Help The Girl' – e poi ancora un duetto con Norah Jones a dir poco inutile (in 'Little Lou, Ugly Jack, Prophet John', esangue) ed un paio di altre insipide minestre riscaldate. Che sia abbastanza per scrivere che i ragazzi sono bravi, ma non si applicano, pare evidente. Raccontare i Belle & Sebastian oggi, in fondo, non è meno facile di quando non si poteva che magnificarli. Forse però le sbrodolate erano meglio delle tirate: non si correva il rischio di passare per snob, o antipatici, e poi c'era tanta buona musica di cui parlare. Altri tempi.

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