Disturbing the peace      _letture

 

OK, mi tocca fare ammenda per esserci arrivato tardi. E facciamo ammenda. Come scritto con l'avvio di questa nuova rubrica, ho ricominciato solo da poco e Yates, beh, proprio non lo conoscevo. Avevo sentito parlare di lui quando uscì l'adattamento cinematografico di 'Revolutionary Road' con relativa schiera di scintillanti star hollywoodiane, ed è a quel punto che mi sono annotato il nome. Ovviamente ignoravo del tutto che Yates fosse morto da quasi vent'anni, né potevo anche soltanto immaginare i dettagli della rocambolesca vita dello scrittore di Yonkers. Ne ho letto la biografia solo dopo aver consumato, letteralmente, il romanzo in questione, trovandovi come ovvio una serie impressionante di parallelismi. Curioso come l'intesa con Yates sia stata subito perfetta, nonostante 'Disturbo della quiete pubblica' venga ancora considerato da molti il suo peggior lavoro. Non avendo letto altro di Yates non ho modo di fare confronti, ma che questo sia il peggio mi sembra quantomeno difficile da credere. Più probabile che rientri nello standard dell'autore, essendo per il sottoscritto decisamente elevato. Un romanzo che scorre fluido pur svelando un po' per volta scorie di pessimismo radicale senza valide consolazioni. Un romanzo lucidissimo, a differenza del suo protagonista, impietoso più che verso di lui nei riguardi dell'intera società americana degli anni di Kennedy. Yates obbliga il lettore a fare i conti con lo sgradevole John Wilder, ad immedesimarsi in lui riconoscendovi le proprie peggiori ossessioni, i propri sogni più biechi e le aspirazioni di ogni perdente che speri di non essere tale. In questo senso Wilder non può essere antipatico, anche se diventa insostenibile fare il tifo per un genitore e marito scriteriato come lui. Ci si aggrappa ai suoi sogni di meschino per forza di cose, forse ben sapendo che le cose non andranno comunque a finire come lui avrebbe voluto. E' forse la sua follia, proprio lei alla fine, a definire i cortocircuiti necessari a preservarci dall'immedesimazione piena, a ridestarci quasi mentre il protagonista pare cedere al sonno della ragione. Una precauzione sufficiente a lasciare tra le pagine un'angoscia che nelle intenzioni di Yates andava forse estesa a tutto il contesto e a tutta un'epoca: quella della fine delle illusioni. Un libro eccezionale.

Una "vita d'ordinaria follia" quella di John C. Wilder. Follia pura, perché tesa ad assumere i contorni di una progressiva condanna, perché germogliata inesorabile dai semi dell'autodistruzione; ed ordinaria anche, riflesso di un personaggio tetro quanto si vuole ma spaventosamente autentico, genuino nella sua irriducibile ed umanissima mediocrità.
Il romanzo di Yates, da molti considerato a torto uno dei suoi lavori minori, è tutto racchiuso nel suo straordinario protagonista: venditore di successo eternamente insoddisfatto, attore e bugiardo per indole, razionale sino al paradosso, camaleontico come un novello Zelig, opportunista e cialtrone capace però anche di grande umanità. Un borghese terra terra che sembrerebbe in grado di poter dire la sua, che vorrebbe trovare a tutti i costi l'ordine dal caos ma alla fine è travolto dai propri limiti e deve arrendersi. Yates fotografa ad un tempo gli anni del suo crepuscolo e di quello parallelo di un'America bruscamente ridestatasi dal sogno dell'era Kennedy. Lo stile è secco, incredibilmente asciutto, senza forzature teatrali, senza compiacimento, con un distacco calibrato che non esclude forti richiami autobiografici e soprattutto non giudica il suo antieroe. Un personaggio sgradevole questo Wilder, ma in fin dei conti non così antipatico da negare una qualche identificazione nei suoi confronti o la partecipazione sincera alle sue tristi vicende. Nell'alcool ha i propri demoni, quelli che annientano maschere e facciate per ripiombarlo alla fine in un baratro di gelosie, volgarità, vili meschinità ma anche umanità, in fondo, pure nella pazzia. Il colpo di genio sta in quella sorta di meccanismo meta-narrativo architettato dall'autore grazie allo stratagemma del film sulla prima esperienza di Wilder in manicomio. In questo modo leggiamo di John non solo in cronaca diretta ma anche attraverso la proposta di un oscuro sceneggiatore chiamato a dire la sua per rendere meglio vendibile la storia di Wilder al Bellevue di New York: un abbozzo di copione che si rivelerà quanto mai profetico.
Un grande ed impietoso romanzo che può ricordare vagamente 'Corri Coniglio' di Updike: con meno dissertazioni esistenzialistiche, maggior concretezza ed una critica più puntuale alla società americana. 

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