Múm @ Spazio211

1-12-2009

 

Incredibile come le attese della vigilia possano influenzare la nostra opinione su un concerto che si è visto, in maniera anche piuttosto radicale. Il caso del recente tour degli islandesi Múm è stato a suo modo emblematico di questo principio, e mi fa piacere riportarlo con un paio di esempi illuminanti, entrambi evidentemente sinceri. Da un lato il mio report relativo all’esibizione torinese del primo dicembre scorso (ci si accede dalla seconda foto qui in alto), dall’altro quello dell’amico Andrea "Cacca" D’Avolio in merito al live milanese di appena due sere prima (il link è nell’immagine in fondo al post). Due concerti distinti, è vero, ma questo sembra poco più che un dettaglio vista la statura indiscussa dei musicisti in questione. Che il giudizio di Cacca in proposito sia assolutamente fidato e motivato non lo sostengo per il solo fatto di conoscere e condividere in buona parte i gusti e le opinioni del "collega", ma proprio perché al centro della sua cronaca ha posto la componente emozionale, quei cruciali riferimenti alla "pelle d’oca", senza tradire alcun pregiudizio riguardo all’ambito prettamente estetico/musicale. Un commento inattaccabile quindi, e tanto più solido se si considera che Cacca si avvicina all’identikit del fan di questa fantastica compagine islandese assai più del sottoscritto, anche perché io li ho seguiti in passato un po’ a spizzichi e bocconi e spesso forse troppo tiepidamente. Questo per ribadire come siano le aspettative che portiamo con noi nei locali per concerti a condizionanarci in modo tanto determinante e a riplasmare quanto si manifesta davanti ai nostri occhi in un modo piuttosto che nell’altro. Lui ha vestito con ogni probabilità i panni dell’estimatore scettico, poco convinto dall’ultima svolta della band, mentre io ho avuto la fortuna, credo, di andare allo Spazio con la soglia delle attese prossima allo zero. Questo deve aver pesato considerevolmente favorendo Örvar Smárason e Silla Gísladóttir nella loro impresa di conquista nei miei confronti, un’avanzata a tutto campo che non ha incontrato da parte mia particolari resistenze. Cacca non ha vissuto l’analogo evento allo stesso modo perché aspettava i Múm al varco e in un certo senso ha trovato conferme alla sua idea: non una condanna sui meriti e sulla qualità dei musicisti, da lui peraltro ribaditi ed evidenziati con una certa dovizia, quanto la concretizzazione di un timore legato a quella svolta sonora che io ho vissuto con un certo interesse solo perché non ero mai andato pazzo per le origini glitch del gruppo venuto dal nord. Ha ragione lui a sostenere che si tratta di una virata operata più che altro per legittime ragioni commerciali. Ha ragione a sconfessare la critica che ha bollato questa nuova fase come salutare reinvenzione folk della propria identità: è una ricostruzione sì, anche piuttosto marcata, ma verso quell’indiepop che in Scandinavia non ha mai smesso di andar di moda. Ora, non so come la veda il buon Cacca su questo particolare approdo, personalmente io vado pazzo al momento per un indirizzo estetico che trovo fresco, emozionante ed anche raffinato come pochi altri al mondo. Il concerto di Torino ci si è collocato senza la minima esitazione e questo spiega il perché di un resoconto tanto entusiastico da parte mia. Entusiastico ma non più vero di quello di Cacca per il live milanese. Una lettura in sequenza di entrambi gli articoli può descrivere forse con la massima completezza possibile quella ricca gamma di umori e sensazioni che piccoli eventi come un concerto indie si portano sempre inevitabilmente dietro, al di là della (e in fondo grazie alla) parzialità del nostro personalissimo punto di vista sulla realtà.

 

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  1. 99Muoi
    febbraio 2, 2018 at 3:55 am (6 anni ago)

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