Magnolia Electric Co. @ Spazio211

15-10-2009

 

Il 2009 è stato anche l’anno del ritorno in grande stile del signor Jason Molina, un grandissimo dell’Americana. A novembre lui e Will Johnson, leader dei Centro-Matic, hanno pubblicato un disco realizzato a quattro mani (intitolato con scarsa fantasia ‘Molina & Johnson’) rivelatosi in realtà di gran lunga inferiore alle attese, il classico caso in cui la somma delle parti non vale quanto le singole componenti valutate separatamente. Qualche mese prima Molina aveva però già dato alle stampe un disco sotto la sua ragione sociale attualmente più importante, i Magnolia Electric Co. A due anni dalla ricchissima raccolta ‘Sojourner’, a tre da ‘Fading Trails’ e quattro da ‘What Comes After The Blues’, primo capitolo della nuova avventura, l’ex one man band dei Songs:Ohia ha dimostrato una volta di più che la "Cura Albini" ed il cambio di moniker ne hanno rivoluzionato gli orizzonti espressivi. Non più il folk scarno e declinato spesso secondo il verbo sad-core tanto in voga nei ’90, ma un garbato e grintoso roots rock molto yankee oriented, impreziosito in sede live da sortite in territori blues, noise o desert folk, sempre estremamente convincenti. Il primo assaggio di un suo concerto, in un ottobre torinese particolarmente ricco di appuntamenti preziosi, ha rappresentato la più diretta conferma di questa comune convinzione. Un gran bel concerto, muscolare ma colorato, in cui il piccoletto vestito da cowboy ha saputo pilotare con polso una band di musicisti esperti ed affidabili (su tutti il monumentale chitarrista Jason Groth, un virtuoso particolarmente efficace), capaci di offrirsi in una prova brillante nei diversi registri adottati. Poche canzoni ma consistenti, in una scaletta che ha presentato alcuni dei migliori brani del recente ‘Josephine’ (‘Shenandoah’ e ‘Little Sad Eyes’) e soprattutto dai due album precedenti (splendida ‘Hard To Love a Man’ dedicata all’amico Howe Gelb), più un paio di episodi dall’ultimo lavoro a firma Songs:Ohia, alcuni inediti ed una cover incendiaria di ‘Lawyers, Guns and Money’ del compianto Warren Zevon, inserita come unico bis prima dei meritati applausi finali. Una bella lezione di rock tradizionale e pulito, lontano dalle mode del momento ma indispensabile per chiunque guardi ancora al genere come una salutare medicina disintossicante. Per una simile riuscita era necessaria la regia di un grandissimo come l’autore di ‘The Lioness’, forse in fase discendente in termini di carriera ed urgenza ma pur sempre autorevolissimo come insegnante. Peccato solo non aver portato con noi abbastanza denaro per fare nostri tutti (ma proprio tutti) i vinili da lui pubblicati in oltre quindici anni, rarità incluse. A 12 euro l’uno e dopo una simile serata era davvero qualcosa più di un semplice e volgare "affare".

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