Sometimes I Wish We Were An Eagle

 

Ancora una volta Mr. Smog ha fatto centro, senza bisogno di reinventarsi o stravolgere le proprie convinzioni estetiche. Non sbagliano gli intransigenti puristi che non gli hanno ancora perdonato l’accantonamento del vecchio moniker, e non sbagliano i detrattori di vecchia se non vecchissima data, sostenendo che questo nuovo lavoro di Bill Callahan non aggiunge nulla a quanto già detto in venti anni di onorata carriera, apprezzata o meno che sia. Sbagliano invece tutti loro nel servirsi di questo condivisibile assunto con dogmatica miopia, liquidando sbrigativamente il disco senza preoccuparsi di scoprire come dica quelle cose già dette, adoperando quale lingua. L’elemento cruciale di ‘Sometimes I Wish We Were An Eagle’ risiede a mio modesto parere proprio in questo dettaglio non trascurabile. Callahan ripercorre strade e temi a lui cari, ma lo fa con una consapevolezza formale straordinaria e senza alcun autocompiacimento. Dice cose dure, anche durissime (come in un finale che svela la fine della sua fede in Dio), eppure lo fa con un tocco leggero e misurato, tagliando all’essenziale la sua musica e riuscendo ugualmente a mantenersi su livelli comunicativi ed emotivi straordinari. Un quadro intenso e policromo che prende le distanze dalla magnificenza pop-rock della prima prova solista, riportando piuttosto alla memoria gli ultimi Smog: sobrietà elegante negli arrangiamenti, marginalizzazione delle tentazioni folk classiche (evitando di risultare eccessivamente crudo) ed apertura alle più svariate influenze in ambito cantautoriale. Il risultato è questo semplice ma convincente affresco, un’opera preziosa che riesce a porsi in una prospettiva personalissima fluttuando come in sospensione, senza tempo, fuori del tempo. Sarà anche per questa sensazione che lo ritengo un album vincente, libero da vincoli, classico già al primo ascolto e probabilmente ancora attuale dopo mille passaggi sul giradischi. Callahan in tal senso è sempre stato un maestro ed invecchiando ha saputo affinare questa sua prerogativa di sguardo come nessun altro. Disco dell’anno, nessun dubbio a riguardo.

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