Eleanor Rigby  _Letture

      

OK, giuro che per un po’ non scriverò più nulla a proposito di Douglas Coupland, salvo intercettare fortunosamente quel paio di titoli del suo catalogo che ancora mi mancano (‘Fidanzata in coma’, ‘Jpod’) e venirne in qualche modo travolto. Anche plausibile come prospettiva, non lo nego. Mi tratterrò dal parlarne ancora perché credo di aver detto proprio tutto su di lui e sulla sua arte. O meglio, lo pensavo fino a poco tempo fa, poi ho incrociato questo suo romanzo per molti versi anomalo – ‘Eleanor Rigby’ – e non citarlo almeno sommariamente mi è parso un peccato. E’ un libro diverso da tutti gli altri di questo adorabile talento canadese. Per una volta rinuncia ad immortalare il sentimento del tempo in un frammento di vita condivisa, per puntare il fuoco su un solo personaggio, pure così verosimile nella sua insulsa banalità esteriore. A rendere interessante il tutto pensa Coupland, donando a questa sgraziata antieroina una scintilla di formidabile carisma e umanità. Nulla di sbalorditivo verrebbe da dire, visto che questi sono i tipici tratti grazie ai quali le caratterizzazioni del Nostro riescono sempre così puntuali e toccanti. A fare sensazione questa volta è la sensibilità nitidissima, l’intelligenza con la quale questa viene delineata nei tanti monologhi del romanzo. Sembra davvero scritto da una donna ‘Eleanor Rigby’, e non è un particolare da poco. Poi certo, al solito ci si trova in corsa sulla giostra con la classica coda pelosa da acchiappare: il pedaggio è qualche lacrima, ci si incazza quando il giostraio sembra barare con trucchetti sleali ma alla fine si esce comunque con l’agognato trofeo, sazi e riconoscenti. Leggere di sentimenti senza ingombri sentimentalistici è sempre un discreto piacere.

Come la protagonista della celeberrima canzone dei Beatles, Elizabeth Dunn è una donna sola e serenamente rassegnata ad un’esistenza priva di guizzi emotivi e di affetti importanti. Un lavoro impiegatizio ben retribuito, una bella casa arredata senza il minimo gusto e pochi contatti con la cerchia dei familiari più stretti che ancora la tormentano a quasi quarant’anni: una madre vedova sbiellata da troppi sbalzi d’umore, una sorella vamp un po’ carogna, ed un fratello egoista e insoddisfatto, con insopportabili moglie e marmocchi al seguito. Incolore, sottilmente acida, affogata in una routine deprimente ma consapevole e non priva di autoironia, Liz è abilissima quando si tratta di rendersi invisibile al resto del mondo, inespressiva, ma anche quando aggrapparsi ai sogni ad occhi aperti diventa una necessità per convivere in maniera dignitosa con la propria irriducibile misantropia. Tra rari momenti di sentimentalismo ed autocommiserazione (come la spassosa maratona cinematografica delle lacrime) ed una bella rassegna di caustiche riflessioni sul vivere contemporaneo, la sua vita procede senza particolari rimpianti sui binari di un tranquillo isolamento fino al giorno in cui il destino irrompe con forza e le offre una carta importante. Decisa a lasciarsi finalmente andare alla corrente, con una curiosità non più frustrata a guidarne l’estro come nuova chiave di lettura sul reale, Liz raccoglie il passaggio della cometa Hale-Bopp come il presagio ed il pretesto giusti per ripartire, sbarazzarsi delle cattive idee, delle abitudini insensate e dell’eccessivo razionalismo. Fin qui si resta sul piano dei buoni propositi e dei divertenti flussi di coscienza imbastiti da un’eroina anomala e ben poco attraente, ma la vera scossa nelle vicende come nel taglio stesso del romanzo è offerta dall’incontro con la seconda cometa – meglio, una meteora – che scombina ogni piano e dona concretezza a quelle stesse fragili aspirazioni. Sarà determinante il fugace ma memorabile cataclisma sentimentale portato in dote dal ventenne Jeremy, figlio di un passato sepolto e piccolo guitto sfrontato e visionario, a riequilibrare ogni assetto nella narrazione e salvare la protagonista dalla cancrena di un destino crudele.

Maneggiando con fare disinvolto temi universali e consumati quali la solitudine, la malattia e la morte, Coupland si è esposto in ‘Eleanor Rigby’ a tutti i rischi del caso ma non ha sbagliato. Forse per la prima volta ha scelto di abbandonare i registri canonici del romanzo generazionale sul disincanto per dedicarsi con straordinaria delicatezza ad un solo personaggio e alla sua parabola umana, alla svolta che solo l’amore innato per un figlio può aprire in un cuore indurito dall’abbandono. Un terreno scivolosissimo quello dei sentimenti, affrontato però dallo scrittore canadese con un piglio ed un’umanità rigorosi, coinvolgenti e mai comodamente consolatori, evitando in modo opportuno ogni deriva pietista, le ovvie suggestioni del patetico ed affidandosi in via esclusiva alla sensibilità tutta femminile e all’intelligenza pulsante, non artefatta, di una protagonista enorme, squisitamente e finemente caratterizzata dalla prima all’ultima pagina. Ancora una volta non mancano i passaggi al limite dell’incredibile, gli sviluppi strampalati e le famiglie disfunzionali, ma sono soltanto piccoli fuochi d’artificio in una notte altrimenti più che verosimile, dove gioie e dolori arrivano alla spicciolata con la precisione dei frammenti di vita vera ed anche un lieto fine un po’ ingombrante è accolto e registrato dal lettore meno prevenuto senza particolari scompensi. Davvero eccellente la prima parte, quella con meno azione e più ricami psicologici a decorare una straordinaria sequenza alternata di flashback incisivi e miserie quotidiane, con la ciliegina macabra dei ricordi di un’estate lontana degna di ‘Stand By Me’. Seconda metà più sfilacciata e pirotecnica, tenuta in piedi con mestiere da Coupland e comunque più che godibile. Tra una lacrima estorta senza ricatti apparenti e diverse risate in alleggerimento, una lettura indubbiamente piacevole.

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