Miss Wyoming _Letture

      

Ancora Coupland e ancora un bel libro. So di ripetermi insistendo nel promuovere questo cinquantenne canadese, ma se su cinque romanzi mi sono poi trovato a commentare altrettante soddisfazioni è evidente che non sto parlando di un autore fra i tanti. Non è astruso, non è un intellettualoide da strapazzo e non smercia merdate new age di quelle che cannibalizzano le classifiche di vendita. Eppure è uno scrittore che potrebbe piacere tanto ai più esigenti quanto ai divoratori di bestseller. E’ sempre attualissimo, ha qualità affabulatorie che pescano a piene mani dai meccanismi narrativi del cinema – questo in particolare – non annoia ma è anche bravo a dissimulare certe licenze un po’ troppo iperboliche per quanto riguarda la realtà delle vicende trattate. Soprattutto diverte e commuove in egual misura, senza la pretesa di raccontare verità universali e senza il bieco proposito di lasciare sbalorditi ad ogni pagina, sempre e comunque. Dopo le prime venti o trenta pagine di ‘Miss Wyoming’ ho temuto seriamente di essermi imbattuto nella sua prima vaccata. Troppi luoghi comuni affastellati tutti assieme e troppe formule già viste e metabolizzate sul grande e sul piccolo schermo. Parevano le premesse per una commediola agrodolce alquanto insulsa, ma Coupland non si è smentito. Rimane un romanziere accessibile e mai veramente impegnativo, ma i suoi spunti si confermano intelligenti lasciando margini ampi per una riflessione su questi anni, oltre a quell’inconfondibile retrogusto amaro che tutela il lettore dalle facili consolazioni. Persino in casi come questo in cui si chiude con un lieto fine. La vita non è poi troppo diversa da quella delle figurine nei suoi romanzi, anche quando si raccontano una miss o un produttore caduti in disgrazia.

Volendosi fermare alle sempre accattivanti note di copertina, ‘Miss Wyoming’ sembrerebbe quasi identificarsi con lo scontato plot racchiuso nella premessa, il colpo di fulmine a dir poco cinematografico tra un produttore hollywoodiano di B movie in evidente crisi esistenziale ed una ex reginetta di bellezza che leggiamo esser stata anche ragazzina prodigio in svariate sitcom televisive, moglie di un cantante rock, superstite di un disastro aereo ed “enigma pubblico”. Un banalissimo incontro di solitudini quello tra John Johnson e Susan Colgate, che effettivamente impregna le prime dieci pagine del romanzo di luoghi comuni sulle starlet e sui marpioni degli Studios californiani e pare destinato a gettare le basi per l’ennesima melensa commediola romantica bilanciata da un’altrettanto risaputa critica al bel mondo dei red carpet, dei lustrini e delle feste a base di cocaina e superalcolici. Niente di più lontano in realtà dalle effettive intenzioni dell’autore, come dimostra la scelta di far “recitare” nuovamente assieme i due protagonisti soltanto nelle battute conclusive, quasi trecento pagine dopo. Certo l’idea di mantenere la macchina da presa in maniera costante su personaggi per forza di cose stereotipati ed apparentemente tutt’altro che simpatici sembra penalizzante e l’avvio mette in effetti alla prova il lettore meno indulgente, quello poco propenso a solidarizzare con la rassegnazione al declino di due antieroi così distanti dalla sua realtà. E’ solo un pretesto però. A compensare la scarsa originalità del soggetto pensa infatti il Fattore Coupland, ancora una volta una garanzia nel rendere l’intima umanità e la tristezza di due personaggi accomunati dalla natura di sopravvissuti (ad un’apocalisse aerea come ad un cocktail letale o ad una disastrosa esperienza di vagabondaggio sulla scia di Kerouac) e spogliati poco alla volta dei soliti pregiudizi, di quei cliché letterari adoperati ben oltre il lecito da altri autori (ben più celebrati del canadese e non altrettanto validi).

A lasciare realmente meravigliati in ‘Miss Wyoming’ è l’intreccio, il meccanismo perfetto che porta a svelare poco per volta attraverso flashback rivelatori i trascorsi separati ma affini di queste due anime inquiete, inframmezzandoli ad una narrazione sul presente che assume strada facendo i toni brillanti della commedia gialla. Un romanzo indubbiamente leggero ma non per questo meno intelligente rispetto a opere ritenute cruciali come ‘Generazione X’ o ‘Microservi’. Anche in questo caso non mancano i colpi bassi né quello sguardo unico ed impietoso sulle malattie derivate dal troppo benessere, sul vuoto pneumatico di un mondo corrotto ed immorale e sui troppi alibi dietro lo smarrimento esistenziale e dei sentimenti. Non è un caso che John e Susan siano legati anche da una fallimentare esperienza che vorrebbe profumare di redenzione, il tentativo-illusione di perdersi in una vita ai margini come estrema fuga dai condizionamenti opprimenti della propria vita: il sogno di rigenerazione e ravvedimento di due ingenui romantici, vittime di una solitudine in fondo non così soffocante perché mai veramente disperata, descritto da Coupland con affetto ma senza benevolenza assolutoria.

Nel dissotterrare le radici del malessere di Susan attraverso le istantanee allucinanti di tanti grotteschi concorsi di bellezza, si svela progressivamente il nodo insoluto del legame della protagonista con sua madre Marilyn, donna spregiudicata e insoddisfatta che l’ha costretta per anni a “scuotere il sedere davanti ad una parata infinita di concessionari d’auto e parrucchieri”. Anche questo nuovo repertorio di modelli e formule già ampiamente sviscerati dal cinema e dalla letteratura potrebbe sembrare l’espediente necessario per un’analisi inevitabilmente più facile e tiepida, ma ancora una volta Coupland non è interessato al cinismo di comodo sulle piccole miserie del quotidiano. Più che la critica sociale e di costume sulle deformità morbose di un mondo, di una filosofia di vita ed un credo (profondamente yankee) che non riconosce alcuna dignità agli sconfitti e alla cultura in generale, all’autore preme dare spazio ai personaggi, alla loro umanità vera dietro le maschere meschine e l’avidità spicciola. Così anche per Marilyn ogni tentazione manichea è bandita e la madre di Susan si ritaglia un ruolo da coprotagonista, diviene un nuovo attore cruciale piuttosto che una caricatura agevolmente demonizzata: non semplicemente il Mangiafuoco implacabile delle mille rassegne nazionali, né solo una campionessa in speculazioni emotive (c’è anche la TV del dolore, come potrebbe mancare?), ma piuttosto un mostro a sua volta vittima di mostri, una donna frustrata, feroce e commovente, emersa dalla barbarie col solo desiderio di assicurare a sua figlia un’esistenza meno infelice e tormentata della propria. Nella sapiente demolizione di tanta vacua mitologia moderna in formato tascabile, il romanziere lascia un piccolo spazio al lieto fine. Con buona pace dei detrattori di questo libro, è difficile sostenere che se ne potesse fare a meno.
Grazie al cielo Coupland non è Palahniuk.

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