Generazione X                                              _Letture

    

Soltanto due mesi fa annunciavo da queste stesse pagine la mia intenzione di affrontare finalmente il romanzo più noto e celebrato di Douglas Coupland, quel ‘Generazione X’ che è stato spesso chiamato in causa (a sproposito) per vestire gli scomodi panni del documento generazionale. A lettura ultimata posso sostenere con una certa tranquillità che non si tratta di un capolavoro e che in fondo nemmeno aspira ad esserlo, che non è privo di quelle ingenuità tipiche degli esordi e che l’autore canadese ha saputo in seguito essere ancora più visionario, caustico e toccante. Nonostante questo ridimensionamento quasi demitizzante, l’opera prima di Coupland resta una lettura decisamente gradevole oltreché un lavoro di rilievo, per almeno due distinte ragioni. In primo luogo perché esprime già con una certa vivacità il talento di uno dei migliori narratori degli ultimi vent’anni, magari acerbo in qualche passaggio, magari dispersivo o non troppo bene a fuoco come per esempio in ‘Hey Nostradamus’. E poi perché rimane una fotografia impressionante di quello che siamo oggi noi trentenni, impressionante perché scattata nel 1991 eppure specchio fedele di ciò in cui l’occidente senza prospettive si sarebbe lentamente trasformato. Definirlo un romanzo profetico sarà forse banale, ma non vedo termini migliori di questo. Non è un inno generazionale, come si potrebbe immaginare senza averlo letto, perché non parla in positivo ma in negativo, perché da il colpo di grazia al vuoto pneumatico e alla volgarità degli anni ’80 senza avere in realtà alcun nuovo credo da promuovere in cambio. Parla di disorientamento e di disagio senza la pretesa di una verità assoluta da celebrare. Forse proprio in quella che è la migliore delle sue qualità, a più di vent’anni dalla pubblicazione, risiede il segreto di tanta longevità.

Affogati nel deserto di Palm Springs come testimoni silenziosi, apparentemente a loro agio in un transitorio rifugio dalla volgare mediocrità della loro precedente vita metropolitana, Andy, Dag e Claire sono trentenni in fuga da una realtà sempre meno vivibile e sempre più opprimente: da contesti familiari troppo perfetti o troppo imperfetti per essere ragionevolmente tollerati, dallo stress disumano di impieghi insignificanti, svolti di malavoglia e senza riconoscimenti di sorta, ma anche da pulsioni e condizionamenti socioculturali che spingono sempre più a confondere lo shopping con la creatività. L’intelligenza e la fantasia con cui ricamano le “favole della buonanotte” che improvvisano senza sosta sono le sole armi con le quali combattere una battaglia per l’autorealizzazione che non potrà esser vinta se non nella piena emancipazione dal fardello del loro benessere yankee, ovvero con quell’inevitabile esilio messicano che lascia aperto il finale alla speranza. L’esordio letterario del canadese Douglas Coupland rimane ad oggi la sua opera più conosciuta, pur non essendo forse la migliore. Il canto di una gioventù – quella dei shin jin rui, i “nuovi uomini” che mirano deliberatamente a nascondersi e a perdersi – condannata all’incomunicabilità e al disincanto in una società gretta e gerontocratica, dove il più beffardo paradosso è quello degli anziani ricconi californiani che dilapidano fortune in cerca di quella stessa giovinezza a suo tempo sacrificata agli idoli del denaro e del potere. E’ anche una struggente riflessione sulla fine di ogni vera speranza nell’avvenire, emblematicamente illustrata dalla rabbia silenziosa verso i propri genitori nelle parole che l’autore affida ad Andy, il protagonista-narratore: <<Mi viene voglia di dirgli che li invidio a morte per essere cresciuti in un mondo pulito e affrancati dal problema di un futuro senza-futuro. E poi mi verrebbe voglia di stritolarli per la spensieratezza con cui ce l’hanno lasciato nello stesso modo in cui ci avrebbero lasciato in regalo della biancheria sporca>>. Forse proprio per questa sua critica disordinata (ma mai veramente rancorosa) ‘Generazione X’ è stato promosso – suo malgrado, verrebbe da dire – al rango delle opere universali ed appunto generazionali, ma, più che come presunto romanzo-cartolina su una generazione e i suoi cliché, si apprezza soprattutto come testimonianza confusa (e proprio per questo sincera) sullo smarrimento ed il malessere del nuovo ceto medio, quello di cui la storia non patrocinerà mai le cause, quello che ha barattato la gioia vera con l’appagamento ed il conforto dei sentimenti con le comodità silenziose del benessere materiale. Considerazioni – quelle nascoste dallo scrittore canadese nelle divagazioni fantastiche dei suoi eroi come nelle notazioni finto-sociologiche nella cornice del testo – cui mancano grazie al cielo tanto la pretesa di infallibilità quanto il cinismo esilarante (?!) che immancabilmente le note di copertina attribuiscono al libro, ma che hanno avuto in compenso il merito di anticipare molte delle più rilevanti riflessioni delle scienze sociali degli ultimi due decenni, dalla radicale perdita di identità nei nonluoghi descritti da Marc Augé all’imporsi della precarietà come linea guida in ogni ambito dell’esistenza. A livello poetico o prettamente narrativo, Coupland ha saputo migliorarsi affinando la precisione e l’umanità del suo sguardo in alcune delle opere successive. Nelle pagine di ‘Generazione X’ restano comunque memorabili la cronaca impietosa della fine dei miti degli anni ’80 , dell’universo malato degli yuppies (indimenticabile il ritratto del fatuo ed egoista Tobias) ed almeno una delle numerose surreali favole di amore e morte qua e là disseminate, quella dell’astronauta Buck precipitato nell’eterno 1974 del pianeta Texlahoma.

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