Malcolm                        _letture

 

Incrociato quasi per caso in un'infruttuosa ricerca in biblioteca, questo romanzo d'esordio dell'autore dell'Ohio mi si è presentato la scorsa settimana con premesse interessanti, andate poi per lo più in fumo alla prova dei fatti. Incoraggiante la sua presenza nella scuderia Minimum Fax, recente veicolo di ottime sensazioni per il sottoscritto grazie a Richard Yates e al suo 'Disturbo della quiete pubblica' (di cui scriverò prossimamente). Bella la copertina, bello l'elogio di Gore Vidal sulla quarta, curiosa la trama abbozzata in sintesi proprio lì a ridosso. Il nome di Purdy poi non mi era del tutto sconosciuto: me l'ero annotato un secolo fa dopo averlo letto in abbinamento ad un altro commento alquanto lusinghiero, in un libercolo sui migliori libri di autori stranieri del novecento, uscito con l'Europeo forse nel 1985 ed incontrato diversi anni dopo in mezzo ad altre cose dello stesso genere, in una delle librerie del mio vecchio. Il testo magnificato in quella specie di breve recensione era un altro, '63: Palazzo del Sogno', la primissima raccolta di racconti che Purdy riuscì a pubblicare nel 1956, tre anni prima di questo 'Malcolm'. Nel frattempo l'autore ha avuto tutto il tempo di essere dimenticato, riscoperto e, fra una cosa e l'altra, di passare a miglior vita (neanche due anni fa). Memore di quelle lontane ma entusiastiche parole ho preso senza indugi il libro dallo scaffale insieme ad un altro dello stesso autore che a breve attaccherò. Buone sensazioni presto svanite, quindi. Se l'idea di fondo è valida, i buoni spunti non mancano e l'interpretazione simbolica riesce abbastanza agevole, il romanzo soffre comunque per l'eccessiva debolezza nelle caratterizzazioni (troppo "pallido" il protagonista, troppo caricati ed inverosimili i personaggi di contorno), per la contenuta visionarietà del piano descrittivo (con un soggetto di questo tipo sarebbe stato preferibile osare molto di più) e per l'insistito ricorso a dialoghi tutt'altro che memorabili. Poi certo, a posteriori si possono cogliere ulteriori riferimenti validi a livello complessivo, ma nel presente della lettura 'Malcolm' ha mostrato molto meno mordente di quanto era lecito attendersi e praticamente non è mai decollato. Non un brutto libro in fin dei conti (il finale per esempio non è affatto malvagio), ma incapace di coinvolgermi in un vero trasporto e di lasciarmi qualcosa di più profondo che una bella immagine di tanto in tanto. Spero che 'Il Nipote' sia meglio e poi ci saranno quei vecchi elogi da verificare, sempre che io trovi da qualche parte quella prima opera tradotta in italiano una vita fa. Forse che siano i racconti brevi la dimensione idonea ad uno scrittore comunque da riscoprire come James Purdy?

Chi è Malcolm? Soltanto un innocuo giovanotto senza radici, un respiro vitale che tutti bramano o il simbolo di una generazione ormai pronta a ridestarsi dal sogno americano? La chiave di lettura simbolica pare la sola praticabile per questo primo romanzo di James Purdy, per quanto la prosa poco incisiva non aiuti il lettore nel riconoscimento delle metafore o nell’apprezzamento della loro forza, invero alquanto relativa. Scrittura dal chiaro intento mimetico quella di ‘Malcolm’, specchio fedele di un protagonista innegabilmente unico ed originale. “Non mi pare che tu sia molto sveglio, ma hai un certo fascino ed un’aria di…innocua amicizia”, afferma il pittore Kermit dopo il primo incontro con il misterioso ragazzino. Ed innocuo in realtà Malcolm pare esserlo sul serio: impalpabile, trasparente, imbambolato senza volontà o sostanza, senza polpa, sangue, carattere, in balia di situazioni quantomeno grottesche e di una schiera di adulti eccentrici e deliranti, al cospetto dei quali risulta addirittura il personaggio più maturo ed equilibrato. E’ un’impressione, ovviamente. In qualità di contemplativo perennemente distratto, Malcolm somiglia ad un novello Forrest Gump all’incontrario, in netto anticipo sul protagonista del film di Zemeckis: seduto sulla sua panchina in attesa di una compagnia che gli porti delle storie, anziché raccoglierle da lui. Del tutto ingenuo, incapace di mentire, disarmato dall’inesperienza, è attore fuori contesto, fuori parte, nell’ambiguo microcosmo in cui si trova suo malgrado a recitare. Forse per questo motivo in tanti hanno letto (col senno di poi) nel suo moderno smarrimento quello dei giovani degli anni sessanta, belli ed invidiati dagli adulti ma in fondo orfani come Malcolm ed incapaci di comunicare con le altre generazioni, ormai segnati da un clima di disillusione radicale: “Non riesco ad avere un’opinione su me stesso” – sostiene lui ad un certo punto – “mi sembra quasi di non esistere”. L’aver captato, anticipato e trasfigurato certi umori generazionali, quel senso di profonda disperazione appena attenuato dal taglio onirico delle vicende narrate, è forse il massimo pregio di un romanzo per altri versi mai troppo riuscito. Anche se l’intento ironico di Purdy si rivela in più frangenti, a prevalere è quell’amarezza di fondo mal supportata dall’eccessivo schematismo di una scrittura macchinosa, ripetitiva e senza lampi autentici. Di momenti gustosi o almeno divertenti se ne incontrano ben pochi ed i dialoghi per lo più fumosi, qua e là demenziali ma veramente a fuoco solo di rado, hanno l’irritante tendenza a soffermarsi come la trama e come il protagonista solo su dettagli poco significativi, privilegiando uno sguardo ingenuo, infantile e non esente da banalità. Così, arrivati all’ultima pagina, torna in mente un’affermazione-tormentone, partorita ora da un personaggio, ora da un altro: “Ho l’impressione che la vita stia per cominciare”. Ecco, la sensazione a giochi fatti è che non si possa dire la stessa cosa a proposito di questo libro.

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