Monthlymusic.it is 50!        

 

Mi concedo il lusso di una breve parentesi autocelebrativa. Mentre su Ondarock sto prendendo il giro e le cose sembrano funzionare bene, Monthlymusic.it festeggia in silenzio i suoi primi cinquanta mesi di vita. Trattandosi di una webzine il cui il calendario è tutto giocato sull’alternarsi dei mesi ed essendo partita nella più assoluta sordina ormai quattro anni fa, senza pretese e con una sua incoscienza bella, questo suo piccolo traguardo mi sembra degno di una pur minima sottolineatura. Ne approfitto allora per tracciare un consuntivo in merito a una collaborazione che, per quanto mi riguarda, è cresciuta e non poco d’importanza con l’andar del tempo. Forse è sufficiente la lunghezza dei pezzi a chiarirlo più di tanti aggettivi. In principio l’organizzatore del progetto aveva imposto tra i vincoli insindacabili alla partecipazione un limite numerico alle battute di ogni recensione. Non ricordo con precisione di quante parole si trattasse ma mi basta tornare alle prime cose che ho scritto per il sito per ritrovarmi schiacciato dalla necessità dei tagli, peggio di un qualsiasi ministro dell’economia di questi tempi. La sintesi, devo dire, è una virtù. Non ho problemi a riconoscerlo, è qualcosa che ammiro in un testo. Ma se si parla di dischi trovo non meno gratificante che tutti gli spunti interessanti siano messi opportunamente in rilievo e vengano a galla. Questo spiega perché, pur esercitandomi con costanza nella nobile arte della stringatezza (e Twitter nella sua semplicità “basica” è una piacevole palestra), ho insistito affinché la tenaglia del “conteggio parole” venisse almeno in parte smorzata. A leggere le mie ultime critiche sulla webzine si potrebbe pensare che la vecchia regola sia poi stata abbandonata del tutto, ma non è così. Per mia natura soffro di incontinenza da idee e riflessioni, tendo a tracimare, a buttare nel calderone tutto ciò che ritengo valido o interessante. Nonostante ciò, anche questi articoletti sono frutto di una sostanziale disciplina. Ricchi, ma a modo loro morigerati. Qualcuno che si è trovato uno dei miei link tra le scatole ha poi liquidato il lavoro con l’acronimo TMI, costringendomi ad una repentina verifica in rete e alla scoperta che, evidentemente, l’accuratezza di quanto si racconta non è più annoverata tra le voci positive nella “stampa” di oggi. La frenesia e la fruizione iperparcellizzata non mi preoccupano. Se quello che leggo è apprezzabile, la sua lunghezza passa in secondo piano. Se invece è solo di slogan e teaser che vado in cerca, la rete ne è piena e un posto, più o meno, varrà l’altro. Senza rancori, senza eccessiva fidelizzazione, e non è neppure detto che questo sia un male. Tornando allo specifico dei miei pezzi su Monthlymusic, mi preme ribadire che di quest’allegra brigata io resto (felicemente) la pecora nera. Gli altri autori accendono l’immaginazione e la fanno vagare libera, tra slanci poetici e legittime ambizioni. Io preferisco ancora parlare in concreto dei dischi scelti di volta in volta, e per farlo ho trovato comunque una piacevole soluzione di compromesso: descrivere con la necessaria dovizia di particolari un album e il suo autore ma farlo nella maniera meno convenzionale o ingessata possibile. Raccontando storie servendomi della raccolta di canzoni a mo’ di pretesto. Romanzando, forse anche oltre il lecito. Affabulando, quando mi riesce di aprire il baule dei trucchi. Per i miei articoli “professionali” c’è il rigore, il volto ultra-autorevole della webzine no. 1, Ondarock. Per gli altri, quelli in eterna licenza, quelli volutamente ludici e svagati, MM rimane invece un diversivo gustoso e in fondo necessario: nonostante i loro eccessi, i bizantinismi e le tante (forse troppe) coloriture, sono particolarmente legato a queste cinquanta recensioni “anomale”. Anche se spesso non omaggiano proprio dei capolavori. I soggetti di volta in volta trascinati in scena sono più significativi per come appaiono che non per come siano in realtà, ecco perché mi tocca ragionare sempre secondo la logica dell’appeal letterario che un determinato artista o band può evocare piuttosto che in base all’effettivo valore della sua opera. Anche in questo senso, nella scuderia MM faccio eccezione. Poi certo, quando uno è messo con le spalle al muro da un disco deve per forza adattarsi. Anche io quindi ho ceduto alle sirene della pura narrazione, in un paio di occasioni. Una volta perché l’album in questione – ‘Embryonic’ dei Flaming Lips – non era praticamente raccontabile in forma canonica e richiedeva comunque il sostegno della fantasia e dello stream of consciousness. La seconda, più che altro, per stanchezza da parte mia: un lavoro deludente dei Belle & Sebastian il cui titolo, ‘Write About Love’, mi ha spinto a costruire una sorta di dialogo o polifonia immaginaria servendomi di una miriade di frammenti sull’amore contenuti nei loro testi,  lungo tutta la carriera. Con risultati certo più originali che soddisfacenti (e sono ancora autoindulgente). Bene o male, comunque, cinquanta mesi sono passati (volati?) e essere qui a tirare le somme fa anche piacere. Non senza compiacimento, resto nella schiera dei critici musicali dilettanti e abbraccio l’etichetta con lo stesso entusiasmo del primo giorno. I pezzi su MM saranno con ogni probabilità i meno letti tra le ormai centinaia che ho scritto e gettato nei mulinelli della rete a partire dal 2006. Forse però sono anche quelli che mi somigliano di più: strabordanti, contemplativi e sempre, immancabilmente, imperfetti.

 




 

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