The Sparrow

       

Ecco un artista del quale ho parlato davvero in lungo e in largo su queste pagine, scrivendo tutto e il contrario di tutto e raccogliendo abbastanza materiale da ricavarne un’ampia scheda monografica su Ondarock. Rispetto all’affettuosa dissertazione in tre parti intitolata “Genio in sordina”, nella monografia avrei aggiunto le curiose avventure collaterali che James Milne ha collezionato negli ultimi anni in licenza dal proprio progetto principe: prima nel collettivo art-rock dei BARB, capitanato dal figlio del leader dei Crowded House, quindi in un bizzarro esperimento di sofisticazione pop condiviso con il connazionale Mike Fabulous. L’ultimo capitolo della vicenda artistica di Lawrence Arabia è però stato questo disco, “The Sparrow”, uscito esattamente un anno fa. Una prova che, anche grazie al contributo non banale dei due diversivi menzionati poc’anzi, rende testimonianza della significativa maturazione espressiva del cantante e musicista neozelandese, nel songwriting (di suo molto promettente già agli esordi) e ancor più nelle vesti di arrangiatore di se stesso. E’ un piccolo disco, l’ultimo Lawrence Arabia: breve, discreto, per certi versi impressionista. Tuttavia ha retto molto bene questo primo anno d’invecchiamento in virtù di un eleganza poco appariscente ma alquanto azzeccata. Scritto con il consueto acume easy-listening, è un album curato e colorato ma con misura, notevole per l’equilibrio tra le ombre perseguite a livello profondo e le pregevoli orlature lasciate in bella mostra su un piano più epidermico. Milne insegue ancora il fantasma di Lennon ma fa centro soprattutto con i sorprendenti rimandi a Scott Walker e all’idolo non dichiarato, Harry Nilsson. Le qualità ci sono sempre stati e seguono un trend in decisa crescita; il talento onnivoro ha avuto modo di esternare tutta la propria verve in molteplici direzioni; in più c’è la Bella Union, garanzia di qualità e visibilità anche nella comoda nicchia indipendente. Le premesse che portino Lawrence Arabia a compiere davvero il grande salto (fino a ora c’è andato solo vicino, neanche così tanto in realtà) ci sarebbero tutte. Dipenderà in buona parte da lui, specie adesso che la mira è stata perfezionata con lavori sempre più interessanti. Non sprecare quel genio nell’inventare buonissime canzoni pop, sentirsi pronto ad afferrare lo scettro del Dunedin Sound e, finalmente, osare. Se viceversa non dovesse funzionare, rimarrà uno di quei segreti da custodire gelosamente. Almeno per noi non dovrebbe essere un grosso problema.

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