Giant Sand @ Spazio211

29-1-2009

 

E’ alla fine anche il fantasmagorico Howe Gelb entra nella mia personalissima collezione di figurine e nell’album in crescita dei concerti visti, assaporati e trascolorati nel ricordo. Avrà la sua bella pagina evidenziata da un piccolo segnalibro grigio, come la sfumatura che la sua musica meglio evoca, come la via di mezzo tra bianco e nero, luce elettrica e tenebra. Di elettricità se n’è sentita poca, ed è l’unico rammarico che potrei individuare in merito a questa serata di magnetismo blues, di istrionismi e spettacolo viscerale, come è sempre nelle corde di mr. Giant Sand. Lui è un fenomeno, uno che sprizza vitalità musicale anche solo in uno sguardo bonario scagliato sul pubblico, uno che pare nato per intrattenere, una specie di Johnny Cash luciferino. Un entusiasta, nonostante tutto, uno che ha raccolto molto meno di quanto avrebbe meritato in questi quasi trent’anni di carriera. Certo che con al proprio fianco musicisti di razza come questi tre danesi le cose devono essere ancora più semplici e naturali di quel che sembrano. Bellissima intesa nel gruppo, soprattutto nelle estemporanee passeggiate in chiave jazz, con Lund e Dombernowsky magistrali (credo sia quella la loro vera strada). Ma dopo il maestro di cerimonie Il più bravo è stato Anders Pedersen, il rosso, uno che deve aver mangiato pane e chitarre slide a colazione per anni. Il padre del figlio di Lonna Kenney, secondo me, almeno a giudicare da certi cenni affettuosissimi che i due si sono scambiati. Che dire: auguri a loro e tanta fortuna ad Howe, uno dei grandi di questi anni.

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