Music-Hall! _Letture

       

Ecco uno di quei libri poco noti ma davvero folgoranti che, solo ogni tanto, capita di incontrare. Una bella rivelazione il quarto e ultimo romanzo di questo autore canadese (suoi anche “La Bambina che amava troppo i fiammiferi” e “L’Assoluzione”) che Marcos Y Marcos ha promosso senza troppa fortuna in Italia, e che scopro proprio ora esser morto lo scorso anno, cinquantaquattrenne, per un infarto. Ecco, questa notizia un po’ m’intristisce, perché “Music-hall!” mi aveva suggerito di essere opera di uno scrittore potente e per nulla banale. Il mio stato d’animo in fondo si sposa con quello che è il tenore stesso di un testo crudo, spietato, sconfortante, eppure visionario come poche volte mi è capitato di leggerne. Qui di seguito la mia recensione, intitolata su Anobii “Un Pinocchio-Frankenstein da quattro stelle e mezza”. Se siete lettori tosti, di quelli che incassano bene le brutalità, questo romanzo potrebbe fare decisamente al caso vostro.

Nella New York di fine anni venti, una metropoli disumana che ha l’aspetto di una “macchina per frantumare le esistenze”, si muove Xavier X. Mortanse, ragazzo sottile e austero, bislacco e commovente, intimamente minato da strane ossessioni come gli scacchi o il maniacale pudore riguardo al proprio corpo. Egli appare da subito ben poco in sintonia con l’asprezza feroce della sua vita: è infatti un apprendista demolitore che nulla sembra ricordare delle sue origini e del suo passato e il cui aspetto fisico, candido e mite come quello di “un Pierrot caduto dalla luna”, pare una calamita irresistibile per continue umiliazioni e insolenze anche brutali da parte dei colleghi, a loro volta ubriacati dalla vertigine della distruzione e da essa abbruttiti sino all’inverosimile in un clima di ribollenti tensioni sociali. Le sue giornate trascorrono allora come “rapsodie di piccole miserie”, e il lettore è sperduto con lui in balia di eventi e prevaricazioni, disorientato da un’identità avvolta da una nebbia che non vuole saperne di diradarsi. In quella “terra americana” per lui così ostile, approdo solo presunto dai trascorsi in un’incerta Ungheria e “inferno capace di tutti i prodigi”, sembra tuttavia presentarglisi l’occasione per un insperato riscatto dalla quotidiana, grottesca malagrazia, quando il giovane trova in fondo alla fossa di un cantiere un bauletto misterioso: al suo interno una ranocchia con tanto di gibus, frac e bastone col pomo, pronta a esibirsi nei più disparati numeri di canto e ballo. Al tempo stesso interviene a destarlo positivamente dal suo stato di esangue apatia la deliziosa vicina di casa, Peggy Sue, fanciulla limpida e bellissima che gli si lega come una sorella maggiore. Anche se la confidenza tra i due risulta sempre minacciata dalla ritrosia e dalla vergogna infantile di Xavier, va in porto il sorprendente progetto pensato dalla ragazza per allietare l’amico: comprargli finalmente vestiti eleganti, condurlo a cena in un ristorante alla moda e infine al Music Hall.

Il timido Mortanse trascorre quell’unica serata speciale in una condizione di ansioso stupore, docile come un fantoccio e ingenuo come un bimbetto di fronte alle mirabilie della messinscena, e poco importa se appare incapace di far caso ai tentativi di sabotaggio da parte della mano criminale del potente ordine della demolizione, una sorta di cupola occulta che tiene in scacco la Grande Mela nel suo complesso. Poi tutto a un tratto questa favola assurda e surreale prende una direzione impensata e lentamente tutto precipita, mentre un po’ per volta la foschia nel passato del giovane evapora e al lettore viene suggerita per graduali rivelazioni la verità sul suo conto. Un suicidio, una tragica fatalità, e i sogni spensierati del povero Xavier sono schiantati in un inferno crudele a tinte ancora più fosche. E’ lo spartiacque del libro: condizionati dall’infruttuosa odissea sulle tracce della vecchia squadra di demolitori e resi particolarmente amari dalla nefandezza di nuovi degradanti traguardi (l’impiego da inconsapevole punching-ball umano al Majestic), il testo e il suo protagonista ritrovano una loro precaria routine, tra sconforto generalizzato e piccoli lampi di umorismo quasi dada (il “minuto nazionale della gioia di vivere negli Stati Uniti”, ad esempio, o le performance scombiccherate della struzza ninfomane Scarlotta), fino alla parabola per certi versi catartica del disfacimento finale.

Un romanzo davvero strano e spietato questo “Music-Hall!”, imbevuto nel profondo di una sua crudele amarezza che non lascia scampo al lettore privo di appigli o punti di riferimento certi. La sua grandezza e il suo limite sono legati alla figura sempre sfuggente dell’indimenticabile protagonista, personaggio indecifrabile in maniera persino irritante eppure innegabilmente fascinoso, maschera in scena di un’innocenza buggerata dalla realtà e di un dolore accolto e indossato con abnegazione invidiabile, quasi si trattasse della propria personale missione suicida. E’ un eroe tragico nel senso più classico e alto del termine Xavier Mortanse, come se ne incontrano sempre più di rado nella letteratura dei nostri anni, per cui risulta difficile negargli una grandezza assoluta, una dignità attanziale che tiranneggia come una magnetica ossessione sul rapporto squilibrato con lo spaesato fruitore e che rimane il maggior merito del testo. I dubbi sempre brucianti sulla sua identità sono il motore di una narrazione elusiva ma intrigante, che non si cura di usare alcun riguardo nei confronti dei lettori ma neppure si pone loro in maniera cinica o disonesta. Mentre siamo spinti a interrogarci su chi si celi in realtà dietro le spoglie di questa bizzarra e infelice marionetta, troviamo attinenze sempre più curiose con la figura di Pinocchio, schiavo degli eventi, della propria ingenuità e di tanti potenziali Mangiafuoco come l’emblematico signor Cagliari, non a caso un impresario, traviato da un Lucignolo extralusso come l’infido batrace Strapiciacudù, ma ancor di più con quella sventurata del “Mandarino Rabberciato”, al centro della truculenta fiaba rappresentata al Music-Hall, che scaraventerà il ragazzo in un pozzo nerissimo assieme a tutti i fantasmi del suo passato.

Curioso ma in fondo non casuale che Soucy chiami di continuo il suo eroe “l’apprendista”, dalla prima all’ultima pagina, anche dopo che questi ha da tempo cessato di lavorare nell’ambito della demolizione e si è schierato senza indugi con le vittime delle sopraffazioni edilizie. Si tratta infatti di un eterno apprendista della vita che non riesce ad apprendere le sue regole base. Quello dell’Homo Homini Lupus è un principio che gli risulta incomprensibile, anche quando è lui stesso a sperimentarlo sulla propria pelle. Subisce ogni sorta di torto, violenza e angheria, ma resta incosciente di come tutto al mondo sia mosso dalla ferocia umana e dal caos, salvo poi riconoscersi – dapprima nei margini di qualche sporadica epifania, poi con un’accettazione che più romantica non si potrebbe – nel limite e nell’insensatezza di un’esistenza dilaniata in tanti frammenti d’anima non conciliabili, quasi si trattasse di un moderno Frankenstein creato apposta per il martirio. La sua sola possibilità di riscatto è nell’annientamento, ed è a questo che lo spinge inesorabilmente l’autore nelle allucinate pagine conclusive. L’unica debolezza di quest’ultimo sta nel non aver saputo gestire fino in fondo una materia tanto magmatica, ricchissima di suggestioni e contraddizioni, lasciando che in più di un frangente la confusione avesse la meglio. Nonostante ciò rimangono innegabili il valore e forza di un romanzo prezioso, inquietante, ironico e seducente in maniera non adulterata da espedienti insinceri, dove a svettare sono anche alcune delle caratterizzazioni secondarie: dalla dolce Peggy Sue con i suoi sogni infranti al caposquadra Lazare Barthacoste, misteriosamente silenziato dall’assenza di emozioni, e dalla disarmata Justine, nella sua ostinata ricerca di un figlio ormai dissolto, al patetico demolitore anziano “Il Filosofo”, costretto a indossare il volto e la reputazione del sapiente senza esserne all’altezza. Un bell’affresco di straordinarie figurine di eterni incompiuti, condannati come il povero Xavier a un destino di lacerante infelicità.

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