Un Lavoro Sporco _Letture

       

Di Christopher Moore ho sentito parlare talmente bene che è giunta l’ora di approfondire. Me lo ha sponsorizzato, in particolare, un giovane libraio che sta dalle parti di casa mia, con così tanta enfasi e colore che ho già acquistato a scatola chiusa sette dei suoi libri. Il primo che ho letto, tuttavia, è questo “Un Lavoro Sporco”, preso in biblioteca con elevatissime speranze ma rivelatosi poi una discreta delusione. Per essere divertente, intendiamoci, è anche divertente. Solo a tratti però, e per merito di una spinta fanciullesca che nei giorni no (o con il ripetersi delle situazioni) non si è dimostrata proprio una chiave convincente. E’ un fumettone pop che guizza tra il registro macabro e quello comico con disinvoltura pur non mostrando particolari lampi di genio: una manciata di idee niente male (su tutte quella del protagonista nei panni di “agente del karma”) e qualche personaggio simpatico, a fronte però di caratterizzazioni un po’ troppo scontate che ne limitano decisamente il potenziale, mentre non mancano le ingenuità (per un autore di più di cinquant’anni questo non sembra proprio incoraggiante come dettaglio). Insomma, un primo incontro, il mio con Christopher Moore, non dei più esaltanti. Gli altri titoli sullo scaffale restano per ora in lista di attesa: non so quando capiterà l’occasione per un secondo appuntamento (con il celebratissimo “Vangelo Secondo Biff”, presumo) ma posso solo augurarmi che le cose vadano un po’ meglio che con questo “Un Lavoro Sporco”.

Perennemente inquieto e paranoico, il trentenne Charlie Asher si ritrova padre e vedovo nello stesso giorno. Il dramma per la perdita della moglie Rachel e l’ingrato compito di allevare senza grandi aiuti la piccola Sophie, in una San Francisco a dir poco turbolenta, mettono seriamente in crisi la sua proverbiale disciplina e il suo intero sistema di valori, costruito in anni di pura logica cartesiana applicata nel commercio di articoli usati e con la sola arma della propria fervida immaginazione di maschio “beta”. Non è tutto, però: non fossero già sovrumane le imprese quotidiane impostegli da una sorte non troppo benevola, Charlie scopre quasi per caso di essere diventato una specie di eletto, un “mercante” del riposo eterno o “agente del karma”, incaricato di riassegnare attraverso determinati oggetti reali o “vascelli” (che gli appaiono illuminati da un notevole bagliore cremisi) le anime di persone defunte o prossime al trapasso. Un vero e proprio “lavoro sporco” che contribuirà a dare un nuovo significato alla sua esistenza sconquassata (“Fatto alquanto ironico: prima di diventare la morte non si era mai sentito così vivo”) pur essendogli stato affidato con poche, stringate istruzioni, contenute in un volume (dal titolo sin troppo emblematico) rubatogli per giunta da un’addetta del suo negozio, Lily, adolescente problematica e nichilista con qualche turba di troppo in curriculum.

La nuova missione del mite e impacciato Charlie, resa impellente dalla necessità di non abbassare la guardia al cospetto delle riottose forze delle tenebre, segna l’avvio di una serie di mirabolanti avventure a caccia di oggetti particolarmente delicati: tra nuovi lutti in famiglia, sorprese legate a procedimenti di reincarnazione tibetana e il sempre ingrato compito di crescere tra mille insidie una figlia destinata a rivelarsi davvero molto, molto speciale. Nel cast entrano man mano molti altri personaggi volutamente sopra le righe: tra gli avversari un demone taurino, Orcus, e soprattutto la divinità celtica della morte, una triade di sboccatissime arpie delle fogne chiamata Morrigan, oltremodo coriacea; tra gli aiutanti il “collega” Menta Fresca, monumentale e conciato come il più eccentrico dei papponi, la sorella lesbica Jane, l’ispettore (e quasi guardia del corpo) Rivera e la misteriosa monaca buddista Audrey con il suo esercito di buffe creaturine-Frankenstein, oltre ai due giganteschi molossi infernali Alvin e Mohamed, giunti all’improvviso dall’oltretomba apposta per difendere la piccola Sophie.

Con tutte queste premesse, non dovrebbe essere granché difficile capire che razza di scrigno di invenzioni e spunti ora umoristici ora macabri sia questo “Un Lavoro Sporco” – chi conosce abbastanza bene Christopher Moore dovrebbe saperlo – pur con la sua tendenza a protrarsi un po’ troppo oltre il necessario e a diventare ripetitivo, prima di incappare in qualche banalità di troppo nelle battute conclusive. In certi frangenti le sue grottesche ma roboanti vicende riescono anche alquanto divertenti, ma quella di Moore resta almeno in questa occasione un’arguzia di profilo non troppo alto, innocua e un po’ fine a se stessa. L’autore si conferma un valido intrattenitore: indovina i colori chiassosi e orchestra non senza perizia (ma con eccessiva disciplina) una sarabanda narrativa stimolante e densa di spunti disparati dall’universo pop e non solo, senza peraltro andare mai più in profondità di uno scatenato festival circense sui temi del trapasso, dell’anima e delle sue derive materialistiche. Poco male in fin dei conti visto che, con una certa dose di indulgenza, la sua impresa può dirsi anche compiuta (la prevedibilità – ad esempio riguardo la figura del “Luminatus” – orienta in tal senso la sua riuscita nei confronti del lettore meno esigente, ma il clamore e gli entusiasmi generalizzati nei riguardi dello scrittore e di questo suo romanzo paiono comunque non giustificati. C’è una miscela troppo caotica di idee e generi, inzavorrata da caratterizzazioni caricaturali, al limite del fumetto, però l’insieme si fa leggere agilmente e con simpatia. Certo non siamo proprio dalle parti del genio o del capolavoro: quello di Christopher Moore è un patchwork votato al kitsch che fonde cultura di massa e miti arcaici in maniera straripante e volutamente tirata all’eccesso. Un po’ come in Palahniuk ma senza affogare nelle sue paludi di sconsiderato cinismo, riuscendo piuttosto a non smarrire la rotta fino alla fine grazie alle (forse troppe) cautele dell’intreccio e alla fermezza nel procedere come con il pilota automatico.

Gradevole insomma, ma su temi così stimolanti e da una penna pirotecnica come la sua era lecito attendersi molto di più.

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