Castlemania

       

Niente, proprio non ce la fanno a fermarsi. Non si ha il tempo di stabilizzarsi negli ascolti, di metabolizzare una nuova uscita ancor più frastornante della precedente che, ecco, sono pronti ad uno dei loro assalti da terroristi sonori. Un po’ come quel monellaccio di Ty Segall, che è nella loro cerchia di accoliti non per caso e che quest’anno sembra intenzionato a sbaragliare ogni avversario nella competizione avendo fatto uscire ben tre album (tutti con ragioni sociali diverse) in appena cinque mesi e mezzo.Non che sia un male, intendiamoci, almeno finché la qualità si mantiene stabilmente sopra la media. Che è poi il miracoloso standard a cui ci ha abituato Ty ed ancor più di lui proprio i formidabili Thee Oh Sees di questi ultimi tempi. Il 2011 ci ha portato in dote questo sciroccatissimo album, ‘Castlemania’, che qui mi accingo a recuperare dopo una lunga stagionatura (la relativa recensione era uscita addirittura su indie-rock.it, altri tempi), una succulenta raccolta di B-sides e demo assolutamente all’altezza (‘Singles Collection Volume 1 and 2’) ed un’eccelsa perla di fine anno, il potentissimo ‘Carrion Crawler / The Dream’, infilato senza grossi problemi dal sottoscritto nelle posizioni di pregio della classifica dello scorso anno. Non contenti i satanassi californiani hanno replicato un mesetto fa, licenziando un’altra raccolta di tutto riguardo intitolata ‘Putrifiers II’. Nel loro caso stupisce davvero come ad ogni nuova uscita il loro suono riesca ad essere più arrembante ma anche più accessibile, con un perfezionamento a livello produttivo che li ha portati molto lontano rispetto allo scalcagnato garage in bassa fedeltà degli esordi. Per ‘Castlemania’, comunque, questo discorso è valido solo fino ad un certo punto visto che, esclusi alcuni dettagli marginali, si tratta di fatto di un disco solista del vulcanico frontman John Dwyer, un caso a parte nella loro ormai quasi sterminata discografia. E’ un lavoro sfarfallante, scombiccherato ed impregnato degli umori briosi e malsani del capoclasse. In genere la critica lo ha accolto con un po’ di scetticismo ma personalmente lo ritengo una delle cose più bizzarre ed originali uscite negli ultimi anni nella scena alternativa statunitense: acre, rancido, sporchissimo e volutamente poco attraente, eppure emblematico nel raccontare una personalità musicale insolita e per farsi un’idea in merito agli estremi di creatività ed intransigenza che il gruppo di San Francisco può raggiungere. Da ascoltare senza pregiudizi e con una buona dose di clemenza, dato che non somiglia a nient’altro in circolazione. Ah, il doppio vinile è una meraviglia.

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