Let It Beard

       

Nella rosa degli album di volta in volta papabili di recensione sulle pagine di Monthlymusic.it, ho in questi ultimi mesi dovuto rinunciare ai titoli del ritorno di una delle mie band preferite, i -comunque la si pensi- inimitabili Guided By Voices, ovvero il non esaltante ‘Let’s Go Eat The Factory’ ed il ben più lusinghiero ‘Class Clown Spots a UFO’. Questa esclusione a priori sarà replicata entro pochi mesi con l’uscita del terzo disco del 2012 per il gruppo di Dayton, che dovrebbe chiamarsi ‘Bears For Lunch’ (un titolo che fa venire in mente la fantasiosa idiozia di certe feste “padane” di qualche tempo fa). Il motivo di tali forzate rinunce è semplice da spiegare: con MM vorrei cercare di scrivere pezzi correndo il meno possibile il rischio di ripetermi, cosa inevitabile qualora “adottassi” uno dei lavori dell’instancabile Robert Pollard dopo averlo già fatto lo scorso agosto con l’ultima (sino ad oggi) fatica accreditata ai Boston Spaceships. A quel navigato antieroe di Pollard avevo già dedicato un pezzo su questo blog, ed in fondo non ho poi fatto molto più che riordinare le idee sul suo conto in un quadretto un po’ più esauriente ed a proposito di un disco particolarmente riuscito. Questo ‘Let It Beard’ in effetti è un buon risultato, considerando che per il cantante e chitarrista dei Guided By Voices il tempo sembra volare (55 anni dice l’anagrafe dell’Ohio) e ispirazione ed originalità non possono certo più arrivare ai livelli stratosferici (per chi ama il genere rock scapestrato e in bassa fedeltà dei primi novanta) dei vari ‘Bee Thousand’, ‘Alien Lanes’ o ‘Under The Bushes, Under The Stars’. Inevitabile che i suoi frammenti acustici riarsi, le sue sgommate noise-pop e l’assortita chincaglieria elettrica del suo repertorio recente suoni già sentita, e che un’idea di naturale compromesso si manifesti sempre all’orizzonte. Pollard però si conferma artista genuino e dignitosissimo, uno di quelli che riescono sempre, come per miracolo, a risparmiare ai loro affezionati le vere delusioni. Con la sua title track irresistibile, ‘The Ballad of Bad Whiskey’, ‘Let More Light Into The House’ ed un’altra infornata di croccanti chicche, ‘Let It Beard’ si è meritato dal sottoscritto l’affettuosa *recensione-biglietto-da-visita* definitiva per questo inarrivabile personaggio del sottobosco indipendente americano. Io l’ho sempre visto e continuo a vederlo così, per una volta penso non a torto. Certo dedicargli queste parole raccontanto un nuovo album dei Guided By Voices sarebbe stato il massimo, ma dieci mesi fa questa reunion era ancora solo un sogno e la realtà col vecchio Bob corre sempre veloce, velocissima: per un vecchio rocker che licenzia non meno di cinque/sei dischi l’anno si trattava di fare la scelta di un attimo, ed amen. Come quando nei film viene fermato con l’indice un mappamondo che gira all’impazzata, per scegliere la propria prossima destinazione. Quella di Pollard sono i negozietti di dischi vicini ai campus universitari; la scadenza, non più di tre mesi da adesso.

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