Gallantry’s Favorite Son

       

Sembra proprio non farcela a sfondare il muro dell’oblio il tenero Zio Scotty, nonostante un ottimo terzo album in curriculum ed i relativi auguri indiretti del sottoscritto nel pezzo dedicatogli giusto un annetto fa. Il delizioso ‘Gallantry’s Favorite Son’ ha raccolto nel frattempo molto meno di quanto meritasse, poca visibilità, scarsa attenzione ed una ancora eccessiva dose di superficialità da parte della critica facilona, incapace di rinunciare ai comodi paragoni con gli infinitamente più celebri Antony & The Johnsons e Devendra Banhart, validi in misura sempre più relativa. Una sorte un po’ triste quella del delicato folker australiano, condannato ad un immeritato anonimato e, per paradosso, all’immancabile confusione onomastica con il quasi omonimo collega inglese Scott Matthews, altro abbonato ad una carriera di scarsi riscontri. E dire che in questo caso aveva fatto davvero tutto per bene: dopo aver sfogato la propria (minoritaria) vena rock nel suo progetto originario, gli Elva Snow, con un nuovo disco e relativo tour dopo diversi anni dall’ultima volta, era tornato in studio con le idee e l’umore adatti, convinto dei propri mezzi ed intimo al punto giusto, né troppo frivolo né troppo lugubre. L’equilibrio pregevole tra l’anima triste e quella aliena ad ogni amarezza fa di questa sua più recente fatica anche il suo lavoro più compiuto e riuscito, dopo le meraviglie imperfette dell’esordio ed un seguito non esente da ingenuità, forse un po’ troppo sopra le righe. Non è bastato, evidentemente, a fare di lui una star, ma chi già lo apprezzava non può che aver raccolto tutte le conferme di cui andava in cerca, oltre a quella prima maturità che ancora mancava nella casellina con il suo nome. Se non si lascerà condizionare dallo sconforto, Scotty potrà regalare ancora grandissime soddisfazioni ai pochi devoti che hanno riconosciuto il talento cristallino dietro quella voce d’angelo.

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