La Pausa _Letture

       

Ok, devo averlo pagato non più di un euro in un mercatino dell’usato (ma era intonso, come al solito) per cui non c’è ragione di lamentarsi se resiste sul podio dei peggiori romanzi che io abbia mai letto. Certo, ci sono le ore impiegate per portarlo a termine, ma anche quelle non sono state poi chissà quante. Più di tutto il resto, del tempo e del denaro sprecati, penso conti la tristezza che leggere questo libro mi ha messo. Non tanto per essermi immedesimato nel barbosissimo protagonista e nelle sue pulsioni da voyeur malato, quanto per aver immaginato il tizio che lo ha pensato e messo nero su bianco in oltre trecento, francamente inutili, pagine. Leggo da Wikipedia che questo Nicholson Baker è persona degnissima, padre di famiglia, pacifista, progressista, bibliofilo, strenuo sostenitore dell’opera in formato cartaceo contro ogni forma di oblio digitale. Ci sono diversi titoli menzionati anche sulla pagina italiana e con recensioni più che lusinghiere, tra quelli editi da Frassinelli, Mondadori o Bompiani (e persino Einaudi, all’inizio). Tutto oltremodo ammirevole. “La Pausa”, tuttavia, sembra il prodotto della mente bacata di un giovane maniaco sessuale, con l’aggravante, in sovrapprezzo, della mania dell’ordine, di una metodicità snervante e di uno stile ricercato quanto si vuole ma anche eccessivamente verboso. Un lavoro pruriginoso, insomma, ma per nulla divertente da leggere. Troppo freddo, troppo penalizzato dalla soverchiante solitudine di chi lo ha scritto, qualcosa che, sono convinto, non rientrasse nelle intenzioni dell’autore. E, con questo, Baker non me ne voglia, non credo leggerò altro di suo, nemmeno dovessi trovarlo a cinquanta centesimi nell’usato (ma intonso, vivaddio).

Di mestiere è un trascrittore precario di registrazioni, in uffici enormi e anonimi presso banche o società multinazionali, il trentacinquenne Arno Strine. E’ il classico tipo di cui ci si potrebbe non accorgere mai, così grigio, silenzioso e ordinario, non fosse che è sorprendentemente veloce e preciso negli incarichi affidatigli. Non risiede però in questo il suo talento, trattandosi a dirla tutta di un numero “col trucco”. La sua dote unica, quella eccezionale per davvero, è un’altra, anche se non è che il Nostro l’abbia mai sbandierata ai quattro venti: non sempre ma comunque spesso, a seconda del periodo, ha facoltà di congelare il tempo per rintanarsi in quella che, senza eccessiva fantasia, ha ribattezzato “la pausa” o, talvolta, “la piega”, quella “Fermata” del titolo originale che gli consente di dare sfogo alla sua natura di “cronanista” e ricevere, ogni volta che gli aggradi, il proprio impagabile “sussidio sessuale”. Questo perché una benedizione come la sua, scoperta in tenera età e coltivata come una riserva speciale dell’anima, non può e non deve essere impiegata per arricchirsi (materialmente), per migliorare il proprio curriculum in sede d’esame o concorso, né per fare del male al prossimo, ma solo come innocente strumento di diletto e gratificazione dei sensi, a patto di non scavalcare gli steccati di una dimensione etica ferrea e, con tutti i suoi distinguo e le sue regolette, infinitamente tediosa.

Dopo anni di piaceri sottili e inconfessati da “pornografo creativo”, sempre estremamente rispettoso nei confronti delle sue inconsapevoli vittime (poiché nella sua curiosità – come afferma sino alla sfinimento – non ci sono che amore e tolleranza nei confronti del gentil sesso), il modestissimo impiegato si decide ad affidare al nero su bianco di un’immaginaria autobiografia la cronaca di tutte le sue perversioni nemmeno poi chissà quanto perverse: spogliare la fanciulla anche bruttina che sia riuscita ad accendere la sua curiosità, studiare le reazioni suscitate da qualche frasetta oscena vergata con opportunismo in calce a un paperback, in libreria, o dal reperimento sotto la sabbia di una spiaggia, o nel mangiacassette della propria automobile, di raccontini piccanti ideati in quei lunghi intermezzi solipsistici giusto per far tesoro di pochi attimi dell’altrui stupore. Sarà la scoperta di un innamoramento degno di questo nome, con la conseguente necessità di condividere con l’amata il proprio segreto, a permettergli di superare finalmente la propria sterile immaturità sentimentale, al prezzo, magari, di un “passaggio di consegne” pure non così gradito.

Alla base di “The Fermata” (da noi reso come “La Pausa”) c’è un’intuizione di quelle semplicissime, a partire dalla quale tutti, almeno una volta nella vita, ci siamo divertiti a fantasticare di pruriginosa onnipotenza e (più o meno roventi) scenari relazionali alterati a piacimento. E’ un diversivo infantile quanto spassoso, buono per vagheggiare in quei due minuti di sogni a occhi aperti, ma già fin troppo inessenziale per scriverci su un racconto. Bene, questo autore newyorkese meglio noto per le sue dissertazioni non-fiction ne ha tratto il pretesto per un romanzo di oltre trecento pagine, con conseguenze abbastanza prevedibili. Dentro abbondano i frangenti pseudo-tecnici e analitici che non aiutano certo, allungando il brodo a dismisura e rendendolo particolarmente indigesto. Le ripetizioni non si contano, come le parentesi, le divagazioni, gli incisi verbosi. Come satira non funziona e, se si fa grande sfoggio di vocaboli o riferimenti colti che vorrebbero nobilitare il ritratto di un uomo qualunque, sempre così maniacalmente controllato, la fatica sembra essere oltremodo vana. Al di là di questa inevitabile (e chissà quanto voluta) assenza di simpatia, il testo non è poi così insulso o cinico come avrebbe potuto essere in mani meno spregiudicate di quelle del tranquillo “entomologo” Baker.

Non basta questo dettaglio, tuttavia, a farne un buon libro. “La Pausa” finisce infatti per ripiegarsi in una candida apologia del voyeurismo, alquanto inoffensiva in fatto di provocazioni ma anche eccessivamente autoindulgente e, in definitiva, un po’ troppo fine a se stessa, per riuscire a suscitare davvero un qualche interesse. Nicholson e il suo antieroe si perdono quasi subito nelle loro elucubrazioni masturbatorie e, per quanto innocuo, il gioco tende a mostrare la corda assai presto, riducendosi a un asettico teatrino di fantasie malate, algide quasi fossero state realmente partorite in una bolla sospesa, priva d’aria e di vita. Il maggior limite dell’eros racchiuso in queste pagine risiede comunque nell’esagerato ricorso alla parola per spiegare sempre tutto, per giustificare e legittimare ogni pulsione illudendosi che la si possa, così facendo, vivisezionare. In una simile prospettiva, l’istintualità esce svilita da una rappresentazione che puzza di caricatura grottesca, mentre il potenziale di passioni e sensualità non ha mai modo di librarsi in una gioiosa e vitalistica celebrazione. C’è troppa gretta razionalità per evocare suggestioni dionisiache. Prevale piuttosto un simulacro vuoto e (quasi invariabilmente) noiosissimo, un prolungato artificio intellettualistico che non è in grado di eccitare, commuovere o intrigare, e che solo in rari passaggi strappa un sorriso.

“La Pausa”, più che altro, è un romanzo tristissimo: ha dentro il tanfo di una solitudine che va ben al di là della simulazione imposta al proprio protagonista e narratore, perché universale. Si tratterà anche di un espediente ricercato e adeguatamente levigato, ma l’impressione è che il primo a uscirne in maniera patetica sia proprio Baker, autore di uno scherzo desolante tirato troppo in lungo.

5.2/10

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