Willard Grant Conspiracy @ Spazio211

09-10-2009

 

Sorpresa positiva il live ottobrino dei Willard Grant Conspiracy a Spazio. Il classico concerto in cui si parte senza pretese, temendo magari di affogare presto in uno stagno di noia, è che invece conquista anche senza particolari colpi ad effetto. Certo esibizioni come questa richiedono una pazienza ed una disposizione d’animo adeguate, per cui capitarci al momento sbagliato puo equivalere ad una sorta di supplizio. Ma non è stato il mio caso, per fortuna. La serata l’ha aperta Cesare Basile, una specie di vate per la canzone d’autore italiana più cruda e disadorna. Non un mostro di espansività, ma pur sempre un professionista coi fiocchi. Prova monocromatica la sua, ma di un’intensità rara, sbalorditiva. E’ stato un validissimo antipasto per lo show (termine inappropriato, ma lo uso ugualmente) del monumentale Robert Fisher, purtroppo in versione "senza barba" (diversamente dal francobollo "Ockett senza barba" in una vecchia storia Disney, il valore – almeno in termini di impatto – è risultato inferiore alla variante "con barba"). Una canaglia intelligente Mr. Fisher, innamorato dell’Italia ma non incline al sorriso. Il concerto del suo storico collettivo, riveduto e corretto per l’occasione (con la spalla fidata del solo violista Curry ed i contributi stabili dei bravi scozzesi Doghouse Roses e dello stesso preziosissimo Basile), ha saputo regalare parecchie emozioni smentendo le previsioni di uno show acustico insipido e monocorde. Il merito è stato del frontman, impeccabile nella classica formula ‘voce e chitarra’ ed abile nell’inventarsi tocchi di colore inattesi per ogni brano, rivitalizzando di fatto una scaletta che ha ricalcato per sommi capi quella antologica del recente album di riletture, ‘Paper Covers Stone’. Live curioso dunque, affilato come una lama ma capace di rivestirsi di nervose inquietudini elettriche (bellissima verso la fine ‘No Such Thing As Clean’, puro deserto americano) o di svoltare alla prima curva verso territori di disarmante delicatezza (come nella conclusiva ‘Lady of the Snowline’, una delle più belle canzoni della band di Boston, o nei cori pazzeschi di ‘Ghost of the Girl in the Well ‘). Tutti bravi i musicisti sul palco ma nessuno come Fisher: ottimo spot alle mitiche Fisherman’s – divorate letteralmente – la strepitosa versione a cappella di ‘Ballad of John Parker’. Per poco che possa sembrare, basterebbe una perla del genere a dare un senso a un’intera serata.

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