Sleepy Sun @ Spazio211
08/11/2010 _ Il nostro (altro) concerto

 

Premesse incoraggianti per il secondo passaggio degli Sleepy Sun a Spazio in poco più di un anno, supportate da una fama live già lusinghiera per la giovane band californiana. Promesse, occorre dirlo, sostanzialmente mantenute, ma con riserva. Tutto in regola in quanto a stile vintage, disincanto sixties à la Jefferson Airplane e robusta polpa rock garantita dai riff neanche troppo onanistici dei due tranquilli chitarristi, il biondissimo Even Reiss e lo spilungone Matt Holliman. Buona sostanza dalla sezione ritmica e la giusta dose di isteria dall'ispirato ometto alla guida della banda, quel Bret Constantino dalla faccia vispa e dall'energia sempre trattenuta a stento. Gruppo insomma piacevole, molto ben affiatato e con un potenziale più che discreto nell'ambito specifico del genere di riferimento: un roots rock in realtà assai meno screziato di psichedelia rispetto a quanto raccontino le biografie ed i due (buoni) album sin qui licenziati. Cosa è mancato allora ad un concerto frizzante e sanguigno come questo, rispolverato ad alcuni mesi di distanza? Beh, è presto detto: è mancata la voce femminile di Rachel Fannan, elemento sfruttato il minimo indispensabile in studio eppure indiscutibilmente cruciale per far funzionare canzoni come 'Marina'. Nemmeno sapevo che la Fannan – autrice anche di un album in proprio, con il moniker di Birds Fled From Me – avesse appena lasciato il gruppo di San Francisco. Quel che ricordo ancora è stato il disappunto nel trovarmi di fronte a questa sorpresa e al mancato rimpiazzo con un altra cantante e corista. Gli Sleepy Sun sono venuti in Europa come nulla fosse. Hanno rabberciato i buchi e gli strappi enfatizzando la già marcata linea southern e blues a scapito delle suggestioni più eteree e vagamente arcane che la voce di Rachel suggeriva, spostando almeno in parte la lancetta dei rimandi verso il folk. Bret ha gigioneggiato forse più del dovuto con la sua armonica, ha fatto il diavolo a quattro senza perdere comunque efficacia sul cantato. La resa spettacolare è stata più che buona anche se indubbiamente il nuovo indirizzo ha limitato la varietà espressiva dei cinque americani per privilegiarne l'impatto. Scaletta interessante, con tutti i pezzi più lunghi e solenni di 'Fever', qualche coerente recupero dall'esordio 'Embrace', una B-Side ed un inedito assoluto. Non male il tono di epicità assicurato da brani a loro modo classici come 'New Age' o 'Sandstorm Woman', e azzeccata in tal senso la scelta di dare ampio sfogo agli "Dei" al momento dei bis, con due tra le canzoni più viscerali e grondanti della ridotta produzione a marchio Sleepy Sun (il dittico tutto cuore 'Desert God' + 'Snow Goddess'). Insomma, davvero non male questo gruppo retrò e felice di esserlo. Anche e soprattutto la verve del folletto Constantino, uno che ha tutti i crismi per pilotare una flottiglia del genere. E tuttavia il depauperamento rispetto a certe versioni di studio, per il motivo sopra descritto, non ha consentito di godere appieno di una performance altrimenti brillante. Rivedibili, quindi, sperando che l'occasione capiti davvero e che l'addio della Fannan non abbia rappresentato negli equilibri di questa simpatica formazione made in U.S.A. l'inizio della fine.

SETLIST: ‘Open Eyes’, ‘Horses’, ‘White Dove’, ‘Red Black’, ‘Toys’, ‘Marina’, ‘New Age’, ‘Wild Machines’, ‘Sandstorm Woman’; ENCORE: ‘Desert God’, ‘Snow Goddess’.

 

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