Sleep Talk

       

Il tempo è un velocista tiranno alla Usain Bolt e non fa sconti. Con i miei nuovi impegni da scribacchino e le vecchie recensioni che si accumulano sempre più in attesa di due righe scadenti di presentazione, sembra il momento giusto per un’accelerata a far fuori un po’ di giacenze. Mi fa piacere, allora, che tocchi al pezzo scritto apposta per la mia Top 2011 su Monthlymusic (sì, più di un anno fa, sono molto indietro nella missione recupero) e dedicato ad un album che ho molto ascoltato anche in questi tredici mesi.
‘Sleep Talk’ di Shannon & The Clams si è rivelato per me un disco fondamentale. Non lo dico perché sia arrivato ad annunciare chissà quale nuovo verbo, tutt’altro. E’ un’opera che guarda al passato in maniera ostinata, quasi con disperazione, e fa tesoro di quanto ammirato senza inquinarne la prospettiva con gli odiosi trucchi della modernità più falsa, quella che aspira ai codazzi esultanti e alle marchette in fotocopia della stampa di grido. Una raccolta di canzoni che appartengono a questi anni per puro sbaglio, e solo sulla carta dei cataloghi. Una grande rivelazione per chi, come il sottoscritto, era già da tempo in viaggio nel proprio cammino di conversione al garage revival. La dolce Shannon e le sue vongole sono arrivati al momento giusto (per me, intendo, ché questo è il loro terzo LP) per darmi quell’ultima spintarella. Ormai in fatto di gusti sono segnato, e questo è il mio genere di riferimento per anni che, orfani a mio parere di importanti alternative o novità nella sfera del rock, del folk e del pop, stanno offrendo una seconda formidabile giovinezza al mito (intramontabile) della canzonetta.
Nella recensione scritta – devo dire – con tutto l’affetto possibile, ho voluto proprio gettare una luce diversa, finalmente non denigratoria, su una realtà da tempo considerata universalmente poco più che spazzatura. Ho fatto di shannon Shaw l’eroina in grado di affrancare un’intera scuola di artisti eccelsi da quell’aura di futilità insulsa e banalotta che i revivalisti di classe del rock’n’roll sembravano destinati a portarsi sempre dietro, irrimediabilmente. In realtà questa band fantastica, con tutte le sue gemme deliziose che non possono che fare la gioia di chi ha alle spalle anni di studi di semiotica come me, è solo la punta dell’iceberg per un movimento direi quasi revanscista, più o meno consapevole di sé e della propria missione. Si è scritto ovunque che, in questi stessi territori, il 2012 è stato l’anno di Ty Segall, asserzione peraltro incontestabile (anche se io gli ho preferito Kyle Thomas aka King Tuff e Matthew Melton, altro fuoriclasse). Ben più significativo sarà capire se il 2013 potrà diventare l’anno della consacrazione per Shannon & The Clams e, assieme a loro, della scena tutta. I presupposti per augurarselo ci sono. La qualità della cantante, dell’autrice e della citazionista anche. Nell’attesa delle necessarie risposte, non rimane che tornare per l’ennesima volta a perdersi nella malinconia guasta di questo disco straordinario.

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