Micah P. Hinson @ Spazio211

23-4-2008

 

Quello del piccolo cantautore del Texas è stato il concerto più sorprendente della stagione. Mi aspettavo una cosa tranquilla e snobbata dai più e invece ha totalizzato più presenze di qualunque altra serata nel locale di via Cigna. E il merito è tutto suo, Casador non ha portato spettatori o ragazze adoranti. E’ bastato questo anomalo folksinger a fare il pienone. Come sia stato possibile non è chiaro, ma a questo punto è innegabile che il fascino un po’ controcorrente di Hinson abbia contribuito a costruire un piccolo ma significativo culto in Italia, tra i fan della musica alternativa. Il suo nome gira da tanti anni ed è stato legato anche a piccolissimi locali in piccole cittadine. Di lui conoscevo bene i primi due LP, molto belli (soprattutto ‘The Gospel of Progress’), mentre ho recuperato ‘The Red Empire Orchestra’ con notevole ritardo. Anche questo è un buon album, con alcune canzoni decisamente emozionanti. Con la pazza sfuriata chitarristica iniziale Micah ha chiarito, senza equivoci, di che pasta è fatto: soprattutto dal vivo non bada alla bella forma perché è solo la sostanza che conta. Amici poco avvezzi col genere non hanno gradito troppo il concerto ma io ne sono uscito entusiasta. La generosità del cantante di Abilene mi è parsa inopinabile, anche la sincerità della sua prova. Ho percepito una bella coincidenza arte/vita, che non è proprio un elemento scontato quando si segue la musica dal vivo. Micah ha recitato se stesso con devozione assoluta e in tal senso non ha mentito. Perfetta aderenza alla dimensione estetica che da sempre lo caratterizza: spleen alcolico, maledettismo con lieto fine, sudismo schietto e fintamente polemico, dandysmo in pillole, eccentricità adorabili, rock’n’roll come ragione di vita. Queste cose tutte insieme fanno un ritratto bizzarro ma potente, come Micah e le sue canzoni. Può non piacere ma forse questo dipende anche da come ci si cala nel gioco. Performance così borderline richiedono di essere valutate tra le righe, necessitano di uno strumento interpretativo non complesso ma essenziale perché il tutto venga gustato con il corretto e disimpegnato entusiasmo. Un po’ come gli occhiali di carone a lenti rosse e verdi per i film o i fumetti in 3D. Adeguandosi a questa prospettiva si ha poi la sorpresa della scoperta dell’autenticità assoluta della proposta. Per me Micah è veramente un cantante genuino. Un piccolo Kaspar Hauser folk-blues. E fa anche tenerezza nell’ostinazione dei suoi atteggiamenti, compreso il romanticismo smielato nelle dediche alla scazzatissima moglie. Tra le altre cose ha fatto ‘Caught in Between’, ‘Close Your Eyes’, ‘Tell Me It Ain’t So’, ‘Beneath The Rose’, ‘Dyin’ Alone’ e ‘Patience’, tutte insieme. Il top resta il medley pazzesco tra ‘Diggin’ a Grave’ e ‘You Will Find Me’: uno scalone tra generi formidabile e rumorosissimo.

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