C’mon

       

Per il sottoscritto il 2011 è stato in un certo senso l’anno dei Low. Il nuovo ‘C’mon’ è arrivato senza il peso di particolari aspettative ma ha saputo insinuarsi dal primissimo ascolto nel novero di quei dischi umili e preziosi, quelli cui ogni tanto sentiamo di doverci appoggiare per ritrovare almeno qualche scampolo di serenità, di equilibrio e, sì, di umanità. Un album che perfeziona e rende adulti i meccanismi sottili del verbo slowcore, raggiungendo in più di un frangente una capacità di sintesi tra emotività e comunicatività realmente impressionante, senza far sperpero di melodie, di note, di voci, senza far calcare la mano dietro la console al bravissimo Matt Beckley, uno che dalle divette del pop più sciatto è passato alla misura assoluta dei Low riuscendo a rendere la musica dei coniugi Sparhawk calda ed eclatante come non capitava da diversi anni. ‘C’mon’ non è un capolavoro e non tutte le sue canzoni sono davvero memorabili. Non ha forse l’urgenza di ‘Trust’, non sanguina come ‘I Could Live in Hope’ o ‘Things We Lost In The Fire’, eppure riesce a toccare le corde giuste e a farlo, soprattutto, nel modo giusto. Affascina con semplicità, irretisce piano l’ascoltatore senza forzarne il gusto e senza ricatti estetici. Avessi voluto immaginare la maturità per la band di Duluth, penso che avrei per forza fatto riferimento a canzoni come ‘Nothing But Heart’, un manifesto della nuova epicità di Alan e Mimi, easy listening effettivamente adulto e dotato di una sua concreta solennità. Nel mio pezzo su Monthlymusic ho scritto di “potenziale archetipico” proprio in questo senso, volendomi riferire alla capacità straordinaria che i brani di ‘C’mon’ hanno di raccontare l’uomo all’uomo, di parlare di sentimenti senza impantanarsi nel sentimentalismo spicciolo, di dire cose “alte” e condivisibili su temi generalmente inquinati dalla banalità imperante, dimostrando una lucidità ed una concretezza non nuove anche se mai rimarchevoli come oggi. Meno aulici rispetto al passato i Low del 2011, ma solo su disco: l’anno passato è stata anche la mia prima occasione per un approccio dal vivo alla loro musica e devo confermare che, a parte qualche limitata recriminazione sulla scaletta, la magia live del gruppo statunitense rimane inarrivabile. Ma questa è un’altra storia e ne parlerò un’altra volta.

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