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Sono tornati i bresciani con un disco vero e proprio. Mi piace, ha dentro alcune cose squisite ma poteva essere migliore. L’impressione è quella di un lavoro realizzato un po’ troppo sull’onda dell’entusiasmo per il successo sin qui ottenuto, soprattutto in ambito live, e senza quella magia di tocco che avevano alcune fra le primissime uscite. Meno ingenuità rispetto ai primi passi, ma anche meno effetto sorpresa, forse, più idee ma confuse, più stimoli e slanci ma gestiti in maniera precipitosa. Paradossalmente la produzione e gli arrangiamenti sono molto curati, certi ritornelli (‘A Summer Song’, ‘The Biggest Way’) sfiorano la perfezione e i momenti di dolcezza e malìa non mancano. Una canzone come ‘I Can’t Get Anything’ è superba, delicata, inquieta, direttamente tra le vette della produzione. Eppure non tutto funziona bene come potrebbe e resto dell’idea che i Le Man Avec Les Lunettes abbiano nelle loro corde tanto di quel talento da poter sparar fuori all’improvviso un vero e proprio asso nascosto. Non è questo il caso ma resto fiducioso. Ho scritto che più che ai Beatles sembrano rifarsi ad altre indie band italiche, tipo Yuppie Flu e A Toys Orchestra. Ecco: li annovero (a ragione, direi) tra i più validi esponenti di questa scena nel nostro paese, me li tengo stretti e vado a vederli quando suonano nella mia città perché sono molto bravi e coivolgenti. Mi coccolo anche l’impressione che il meglio debba ancora venire, è sempre l’ipotesi più stimolante quando si valuta un artista emergente. Poi ripenso ai nomi scritti qualche riga più su e non posso non pensare che dischi come ‘Days Before The Day’ e ‘Technicolor Dreams’ restano dei fantastici miracoli. I miracoli avvengono, spesso più di una volta.

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