Farewell Good Night’s Sleep

Sempre la solita dannata Islanda! Dannata in senso buono, eh, ché la nostra ammirazione usa termini altisonanti solo per variare il tenore di un discorso già fatto milioni di volte. Come sfornano fuoriclasse nell’isola forse meno densamente popolata del mondo resta un enigma assoluto, roba da ipotetico quarto mistero di Fatima. Ogni nome nuovo si propone puntualmente come conferma e come anomalia e non fa eccezione il caso della giovane, assai promettente, Lovísa Elísabet Sigrúnardóttir, in arte Lay Low. Una conferma, perché non occorre un titolo di studi particolarmente ambito per rendersi conto che questa ragazza ha molta stoffa e di buona fattura. Un’anomalia, perché in questo caso la protagonista e la sua musica sono figli di un meticciamento molto articolato e dagli esiti curiosi. In questo caso i natali sono londinesi, il ramo paterno viene dallo Sri Lanka mentre solo mammà è effettivamente islandese. Un buon 50% comunque e, visto che una tale fetta di patrimonio genetico è piuttosto rilevante, l’effetto "genialità" si percepisce, eccome. Anche lo stile di Lovísa ha una peculiarità tutta sua: c’è un retrogusto di fondo che è piacevolmente dream pop, se l’etichetta vale ancora qualcosa. Una spruzzata appena, ma significativa nei fatti. La matrice fondamentale resta il country-folk delle Dolly Parton, delle Loretta Lynn e delle Patsy Cline, interpretato comunque con una spiccata ed autonoma sensibilità oltre che con la dovuta devozione. Riferimenti e background che nel precedente esordio (‘Please Don’t Hate Me’) e nelle prove dal vivo hanno conquistato una marea di suoi conterranei ed almeno una personalità di grido, quella Lucinda Williams che l’ha immediatamente promossa con parole molto lusinghiere. Ora, nel disco della riprova, Lovísa insiste con i suoi cavalli di battaglia e strappa applausi convinti per quel suo saper essere originale ed al tempo stesso ben radicata nel territorio. Che non è, questa volta, semplicemente l’Islanda, bensì quella sorta di minicontinente che racchiude in una sola "terra del cuore" tutti i paesi scandinavi e nordeuropei. Nella recensione ho fatto quattro nomi (uno per nazione) pescati dal mazzo forse casualmente ma emblematici di questa eccellenza ambientale che rende magici molti artisti di quella provenienza: l’inarrivabile svedese Lekman, la norvegese Wallumrød, la danese Sennenvaldt e il mite Teitur, dalle sperdute isole Faroer. Anche Lay Low può vantare la medesima aura di aliena eleganza e merita di rientrare in questo sempre più numeroso club di eletti per merito dell’intelligenza con cui rivisita standard e cliché espressivi generalmente logori. Molto brava Lovísa: non si tratta di una nuova Björk ma ha tutte le carte in regola per fare strada.

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