Bonnie ‘Prince’ Billy

Wolfroy Goes to Town

       

Sempre più difficile stare dietro a Will Oldham. Nei pochi mesi trascorsi dalla pubblicazione di quest’ultimo ‘Wolfroy Goes To Town’, il barbuto del Kentucky ha cercato di non smentire la sua fama di cantautore incontinente e disponibile alle più svariate collaborazioni: ai tre EP usciti quest’anno sotto il moniker “Principe” (Bonnie ‘Prince’ Billy, ovviamente), il Nostro ha infatti accompagnato un intero album ed un mini realizzati con la band scozzese Trembling Bells oltre ad un primo singolo “di riscaldamento” con la folker nativa americana Mariee Sioux. A luglio non si è fatto mancare anche un tour europeo con diverse date in Italia, al solito prova di gigantismo assoluto per gli spettatori più avvezzi al ritmo lento e solenne delle sue canzoni. E proprio questa si conferma in fin dei conti la caratteristica più significativa dell’ultimo disco dell’Oldham solista, se possibile ancora più scarno e trattenuto dei suoi più diretti predecessori. Sempre ondivago al confine tra country e folk, il cantante del Kentucky ha fatto un po’ per volta dell’essenzialità il suo credo artistico, disciplinando la propria scrittura verso un rigore impressionista non privo di spunti calorosi. Certo non è artista per tutte le orecchie, e la rinuncia alle pur estemporanee forme di contaminazione espressiva presenti in ‘Lie Down in the Light’ e ‘Beware’ rappresenta un passo ulteriore in direzione del perfetto solipsismo cantautorale, quasi a chiusura di un cerchio tracciato sin dai primi lavori in bassa fedeltà dei progetti Palace. Nella recensione per MM ho voluto come sempre soffermarmi in primo luogo sul personaggio, ma senza dimenticare di regalare una piccola stoccata a quella critica musicale che sembra avergli voltato le spalle dopo anni di lodi sperticate. Qualitativamente Bonnie ‘Prince’ Billy non è arretrato, non di molto almeno. Ha portato avanti con buona ostinazione la propria ricerca, ben cosciente di avere ben poco ancora da inventare in seno alla tradizione dell’Americana, soprattutto dopo così tanti dischi. Rimangono testimonianze apprezzabili quando la farina viene tutta dal suo sacco e si limita ad ospitare qualche bella voce femminile. Il suo limite, piuttosto, sta nel non aver mai saputo dire di no a troppi colleghi anche mediocri, finendo inevitabilmente per inflazionare il catalogo con uscite spesso non proprio indimenticabili.

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Beware!

 

Will Oldham non è certo un tipo che si accontenta. Del proprio lavoro, ad esempio. E poi dei propri collaboratori, sempre poco noti e sempre validissimi musicisti. Soprattutto Oldham sembra non averne mai a basta di sè e della propria inesauribile ricerca di compromessi espressivi tra tradizione e personalissima sensibilità. Ecco quindi il perché di una discografia che in poco più di quindici anni ha già raggiunto lunghezze chilometriche, sviluppandosi in una serie di uscite a strettissimo giro di posta e dai connotati qualitativi sempre ragguardevoli. Sembrava impossibile far meglio del predecessore ‘Lie Down In The Light’ ad appena un annetto di distanza e vien da ammettere che forse, effettivamente, il Nostro non è stato vincente nell’impresa. In realtà questo nuovo ‘Beware!’ è comunque tutto fuorché un passo indietro. La distinzione adottata in sede di giudizio non può che dirsi assolutamente soggettiva e mi pare limitata all’ambito delle semplici sfumature. Ancora un grande album dunque, scritto sulla falsariga di quell’altro proprio in termini di impostazione generale: bussola ben piantata sul country-folk d’impronta classica, minuzioso lavoro di contaminazione e riscrittura stilistica da maestro cesellatore, apertura a soluzioni meno crude e più corali, strepitosa varietà nei dettagli minimi (con impiego dei più disparati strumenti, dalle trombe ai mandolini, dal sax alla fisarmonica) e nelle derive espressive, con una curiosa inclinazione verso il soul ed una singolarissima puntata conclusiva in territori prog. Di tutto e di più insomma, restando sempre e comunque il solito "Principe". Fedelissimo anzi alla propria magnetica natura ed al proprio songwriting dai contrasti mirabolanti: in ‘Beware!’ fanno bella mostra un paio di istantanee che sono quanto di più personale Oldham potesse raccontare di se oggi: la confessione intima ed ironica di ‘I Don’t Belong To Anyone’, ed il rovesciamento di prospettiva emozionale calzato a pennello per noi ascoltatori entusiasti di ‘You Are Lost’. E continuando a questi ritmi e su questi livelli rischiamo seriamente di perderci. 

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Bonnie Prince Billy @ Espace

28-4-2009

 

Doveva venire a settembre. Inaugurazione di questa grande stagione a Spazio, evento gratuito, troppo bello per essere vero. E infatti alla fine non se ne fece nulla. Rimpiazzato da Lydia Lunch in quell’occasione, il suo nome tornò a far capolino nei calendari eventi italiani dopo pochissimo, per una serie di tre concerti autunnali in altrettante chiese del milanese. Idea suggestiva, peccato che se ne sia saputo qualcosa a giochi fatti. Viste le strategie promozionali carbonare di quella fetta di tour, abbiamo seriamente pensato che Will Oldham ce l’avesse con noi. Ci ha smentito presto, con nuove date ed una riparatoria proprio a Torino. Spazio troppo piccolo per contenere tutti, data anche l’assenza di un ulteriore appuntamento meneghino, e quindi location spostata alla Sala Espace di via Mantova, luogo solitamente utilizzato per spettacoli teatrali. Coi giorni è cresciuta l’attesa. E’ arrivato ‘Beware!’ come disco delle conferme, sempre più pacato, sempre più tradizionalista, all’apparenza, sempre più country folk. E alla fine è arrivato anche lui, il principe, con bella banda al seguito e accompagnamento di una nuova amichetta scandinava. Anche Bonnie Prince Billy non si è sottratto a quella che, ultimamente, pare essere diventata la regola preferita dagli artisti folk in sede di concerti: lo spiazzamento. Ci aspettavamo una replica delle atmosfere degli ultimi due o tre album: delicate, eleganti, un po’ pallose per qualcuno. Lui ha scelto un approccio molto più vitale e diretto, suonando alcuni dei suoi grandi classici (‘A King At Night’, ‘Horses’, ‘Just To See My Belly Home’) con piglio decisamente rock. Molto bene così, anche se in termini acustici l’esibizione ne ha risentito. La sua voce arrivava a folate, non si distinguevano le parole nei passaggi più concitati. Non si può avere tutto nella vita, vien proprio da dire. Comunque bel concerto, generoso, appassionante. E lui è un grandissimo. Un mezzo pazzo, assolutamente. Timido prima, poi fuori di testa, carismatico dove non lo aspetti. E un musicista coi fiocchi. Va beh, questo lo sapevamo.

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