Black Heart Procession

Black Heart Procession @ Spazio211
18-05-2010

 

Ancora Black Heart Procession. La settimana live più intensa di tutto l'anno, quella che ha visto collassare le mie orecchie al cospetto dei vandali giapponesi Acid Mother Temple, che ha registrato una trasferta felsinea per i miei adorati Quasi ed una capitolina per i riassemblati Pavement, è iniziata un martedì sera sotto la palla frangiluce di Spazio, in uno di quegli appuntamenti vanamente attesi per dieci anni almeno. Come ho scritto nel report , l'occasione mi si era presentata solo pochi mesi prima, con una trasfertina invernale a Milano che però non si è fatta, e meno male. E' evidente che Pall Jenkins ama la terra dei suoi avi, perché non si spiegherebbero altrimenti l'immediato ripresentarsi di un tour in Italia ed il relativo soggiorno in Sicilia raccontatoci da Agghiastru, grande fan del gruppo di San Diego. Parimenti è indubbio che Pall e Tobias abbiano creduto molto in questa loro recente creatura, 'Six', da me accolta abbastanza tiepidamente e poi via via riabilitata (come ho scritto ampiamente proprio su queste pagine). Lo show al 211 si è rivelato in linea con le aspettative, bello per la sua semplicità ma non esaltante, a parte alcuni episodi emotivamente più intensi o trascinanti. La band si è presentata in una formazione di grande sostanza, con i due veterani supportati da una sezione ritmica di valido impatto ma senza l'apporto di archi o altri ornamenti. Questo ha chiaramente orientato l'esibizione verso la polpa rock del disco recente, rivitalizzato in versioni tutto sommato sobrie ma efficaci (tipo una ottima 'Release My Heart'), lasciando qua e la spazio all'ammaliante griffe dei classici più notturni, specie in quei frangenti "confidenziali" in cui Jenkins e Nathaniel hanno suonato da soli, voce, piano e sega (regalando perle come 'The Waiter #2'). Si è intravista peraltro anche quella prodigiosa franchezza pop ('Rats'), la puntualità di un songwriting essenziale e quadrato, che i due leader hanno da poco sfoderato in 'The Inevitable Past Is The Future Forgotten', incoraggiante riesumazione di studio per i Three Mile Pilot dopo tredici anni di pausa: la riprova che il parziale ritorno alle origini di 'Six' e dei relativi tour promozionali ha giovato, in termini di stimoli e di idee, anche a quel non trascurabile side project. Tornando al concerto c'é da aggiungere che la scaletta era migliorabile, senza dubbio, ma sono stati sufficienti la festa elettrica di 'Tropics of Love', il calore di 'Square Heart' e la toccante sincerità di una 'Drugs' spogliata di tutti gli inutili orpelli a decretare il pollice su, per il sottoscritto. Una piccola nota di merito la voglio infine dedicare ai Grimoon, la promettente compagine franco-italiana che ha avuto il compito di aprire la serata. Niente male: tanta carineria mai fine a se stessa ed un filotto di deliziose intuizioni color pastello.

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Six

 

Tra i dischi ripescati dopo essere stati lasciati a stagionare per un anno o poco meno, l’ultimo dei Black Heart Procession è forse l’unico ad essere migliorato all’ascolto rispetto a quando lo valutai per indie-rock.it. Al termine di un’attenta e reiterata reimmersione nel ormai ampio repertorio della band di San Diego, attuata in preparazione al loro live torinese del maggio scorso, posso affermare con una certa sicurezza che la distanza che separa ‘Six’ dai suoi predecessori è assai meno netta di quanto scritto in quell’occasione, in termini di ispirazione, sonorità, canzoni. E’ vero che rimangono brani tipo ‘Wasteland’ che ancora fatico ad apprezzare, vuoi per l’andatura terribilmente flemmatica, vuoi per il mood sepolcrale con richiami eighties forse un po’ troppo forzati, estenuati sin quasi alla caricatura di una maniera. Il resto però funziona molto meglio di come avessi immaginato, pur non spiccando per originalità, e a tratti quest’album riesce a suonare addirittura godibile laddove l’avevo trovato noiosetto o troppo lugubre. Pezzi come ‘Suicide’, ‘Rats’ e soprattutto ‘Witching Stone’, lavorano egregiamente e tradiscono una semplicità nel songwriting e negli arrangiamenti realmente efficace, intrigante. Il contributo dei pezzi malinconici nel delineare la fisionomia di ‘Six’ e meno determinante, ad esempio, che non nei primi due capitoli della discografia del gruppo guidato da Pall Jenkins, ma resta innegabile che, a parte la non entusiasmante ‘Heaven & Hell’, titoli come ‘Drugs’, ‘When You Finish Me’ e ‘Iru Sulu’ fanno decisamente la loro figura. E poi ci sono i tocchi classici della band, quelli che riportano quasi naturalmente alla memoria i Calexico nella loro accezione più tormentata e meno spensierata: ‘All My Steps’ e ‘Forget My Heart’ – con ogni probabilità la più bella canzone del disco – entrano di diritto in una ideale raccolta con il meglio dei Black Heart Procession. Per un album che sembrava troppo stantio, mortifero, destinato ad un rapido oblio, non è certo poco questa leggera ma insperata risalita nel gradimento. Voto aggiornato: 7. Ed ora vediamo di sentire come se la cavano i rinati Three Miles Pilot con ‘The Inevitable Past is the Future Forgotten’. Esce a fine mese.

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