Idle Dreams

       

Dopo un lungo periodo di silenzio, riparto con la missione recupero dallo scrigno Ondarock, webzine per la quale ho scritto – forse addirittura senza rendermene conto – quaranta recensioni di dischi in appena nove mesi. La seconda di esse è quella che a gennaio ho dedicato a un LP uscito in realtà lo scorso anno e già citato, da queste parti, tra i titoli imperdibili del sottoscritto per l’annata 2012. Nonostante sia trascorso un intervallo di tempo non esorbitante dalla pubblicazione, questo quarto capitolo dell’avventura Bare Wires puzza già di pagina postuma, così come il frontman di quel gruppo poco fortunato ha tutta l’aria del reduce. La indossava, peraltro, anche quando l’album arrivò nei negozi, con la band di Oakland considerata già una parentesi chiusa in archivio e rimpiazzata dalla versione, di poco riveduta e corretta, denominata Warm Soda. Licenziato in sordina alla stregua di un banale tassello per completisti, “Idle Dreams” è in realtà Matthew Melton al suo meglio: scrittura di rara efficacia, chitarre abrasive ma più che accessibili, un suono disinvolto che guarda con interesse al glam ma senza stravolgere i propri semplici dettami espressivi. Proprio questa sarebbe stata la direzione seguita dal leader nella sua nuova e più ambiziosa avventura, eccedendo però un po’ troppo nella baracconata à la Bolan in salsa pop, sporcando di lo-fi e fuzz furbetti le canzoni (a volte anche senza ritegno) o insistendo nelle proprie discutibili tracopiature dagli Strokes di “Is This It?”. Peccati veniali comunque per un autore che si sta affermando senza troppo clamore come uno dei più autorevoli nella popolatissima scena garage californiana, meno imprevedibile di Ty Segall e meno geniale o animalesco di John Dwyer, ma pur sempre un discreto talento che potrà dire ancora molto, se riuscirà a non perdersi. Sperando possa tornare presto la purezza garage-pop di questo precedente segmento, un nome da serbare senza esitazioni tra quelli in assoluto più promettenti.

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