Il Ladro di Gomme _Letture

       

Cosa è diventato Douglas Coupland in questi ultimi anni? Un artista pop fighetto. Uno che fa del presenzialismo sulle copertine, che flirta con attori e musicisti, che si cimenta con la televisione e il giornalismo alla moda, con sculture monumentali e personali nei musei di arte contemporanea, con la non-fiction e il design. Occasionalmente riesce ancora a trovare qualche margine per la sua attività di romanziere, anche se non può stupire la sostanziale mediocrità dei suoi libri recenti. Tra questi, uno dei meno peggio è sicuramente “Il Ladro di Gomme”, una delle poche occasioni in cui il canadese ha provato ad attualizzare certe formule vincenti della sua narrativa senza scadere nel grottesco. E’ anche l’opera che presenta i maggiori punti di contatto con il suo “Generazione X”, certo con l’originalità ridotta al lumicino di qualche pallido espediente metanarrativo. Di questi tempi, comunque, prendiamo e portiamo a casa.

Quarantenne, divorziato, la dolorosa morte di un figlio piccolo alle spalle, Roger Thorpe è ormai persuaso di essere giunto anzitempo al capolinea, in un teatro di “balordi negativi e falliti” dove il completo disastro sembra il pane quotidiano che accomuna tutti, condito da una sofferenza che è ovunque, insormontabile. Lavora come malinconico e anacronistico commesso in mezzo a un’orda di anonimi colleghi ragazzini presso Staples, megastore specializzato in articoli per ufficio, e si vede come un uomo senz’anima, pressoché invisibile agli altri, desideroso di fuggire da se stesso per quanto apparentemente incapace di una simile impresa. Sue uniche valvole di sfogo sono “Lo Stagno del Guanto”, assurdo romanzo sulla crisi della coppia borghese, oltre al diario in cui raccoglie riflessioni in ordine sparso sulla vita sdoppiando la propria prospettiva tra un canonico io narrante e lo sguardo solo immaginato della giovane compagna di lavoro Bethany (con la quale condivide senza saperlo una generalizzata sfiducia negli esseri umani). Quando la ragazza, giunta a conclusioni non troppo dissimili attraverso un sentiero se possibile ancor più cupo e nichilista, metterà per caso le mani su quel documento, sceglierà di stare al gioco e rispondere con una lettera dando il la a un carteggio sempre più liberatorio per entrambi. Ne verranno coinvolti anche DeeDee, madre della giovane, anch’essa gravata da enormi problemi di natura relazionale, e Joan, ex moglie dello stesso Roger, così da conferire un carattere polifonico al mosaico via via articolato e da suggerire al lettore le possibilità di una serie di svolte caratteriali che, di fatto, non troveranno effettivi riscontri nelle loro esistenze così zoppicanti.

Erano davvero buone le premesse di questo nuovo romanzo di Coupland, al di là dell’insistenza con cui l’autore ha optato per un ristretto cast di protagonisti al solito provati da ogni sorta di sventura, condannati a correre a velocità ridotta sui binari di una vita a dir poco imperfetta eppure non privati dell’eventualità di un riscatto inatteso, di un raggio di sole improvviso e bellissimo. In questo caso si rivela originale, soprattutto, la struttura narrativa (che è anche metanarrativa, dettaglio importante), un congegno magari caotico ma estremamente vitale, il cui autentico colpo di genio è rappresentato dagli inserti dell’opera grottesca partorita dall’inventiva di Roger, quasi una pièce teatrale su una coppia di tetri coniugi che sembrano trapiantati nell’attualità da un passato tendente alla mitologia (viene citato il matrimonio tra Elizabeth Taylor e Richard Burton come efficacissimo termine di riferimento), emblema dello sfiorire delle passioni e della bellezza. Finché le sorprese vengono gestite in maniera armonica e i personaggi principali restano attendibili nel loro quadro di moderato sconforto quotidiano, tutto funziona decisamente bene, assai meglio che in opere (degli stessi anni) stiracchiate e non troppo genuine come “Generazione A” o “Eleanor Rigby”. Poi però l’umanità, il tocco gentile e l’ottimismo di fondo per cui il canadese è noto prendono inverosimilmente il sopravvento: i personaggi si auto-rivoluzionano nel volgere di poche pagine (Bethany passa da dark girl a ragazzina acqua e sapone in maniera persino stucchevole), salvo poi tornare sui propri passi appena in tempo per la morale conclusiva: stravolgersi non ha senso, occorre accettarsi per come si è o, quantomeno, provare a convivere dignitosamente con se stessi.

Nella prima parte, ad ogni modo, uno dei migliori Coupland degli ultimi anni: lucido, divertente, con più di un lampo di genio e – ma non è una novità per lui – senza scadere nel cinismo di comodo à la Palahniuk. Il collage di narrazioni brevi che affiora dal ricco scambio di spunti tra i due protagonisti può ricordare lo storytelling romantico e decadente che animava “Generazione X”, l’opera per cui Douglas verrà più o meno giustamente ricordato. Non è un caso, allora, che Roger Thorpe somigli molto da vicino ai quasi trentenni di quel primo romanzo: invecchiato, sbiadito, intristito, promessa non mantenuta degli anni novanta in un presente davvero privo di bussole e prospettive. In tal senso resta indubbio come Coupland sappia ancora raccontare benissimo il nostro tempo e, con esso, il declino impietoso che ci abbruttisce, ogni giorno di più. Così per l’opaco antieroe, il cui massimo gesto di ribellione consiste nel rubare gomme da masticare sul posto di lavoro nel momento stesso in cui si fa licenziare, finendo per specchiarsi grazie a un pregevole gioco di specchi nel protagonista del testo di fantasia dello scrittore di successo Kyle Falconcrest, uno dei personaggi principali de “Lo Stagno del Guanto”. La vertigine dietro questa prospettiva-matrioska e ancor più l’ironia con cui si chiude il libro (che scopriremo essere tutt’intero il saggio di fine anno per uno squallido corso di scrittura creativa) valgono forse come sole ancore di salvezza degne di questo nome e assicurano a “Il ladro di gomme” una sufficienza comunque piena.

6.5/10

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