Classificone 2014
E’ un ritardo mostruoso quello con cui arrivo stavolta al consuntivo di fine anno. Forse è perché ho voluto tenermi un certo margine sperando di recuperare album meritevoli, ma mi ha detto male (tra i ripescaggi tardivi solo uno sarebbe degno di entrare in classifica, ed è il disco di canzonette dei notoriamente più marci garage-bluesmen The Abigails). Forse, molto più semplicemente, è colpa della delusione alquanto concente a proposito di un’annata davvero scarsa, la più fiacca da quando mi concedo questo giochino conclusivo futile e ovviamente autoreferenziale fino al ridicolo. Che dire del 2014 appena andato in archivio? Beh, intanto che la vittoria la attribuisco ancora una volta a una giovane sorpresa femminile, quella Angel Olsen che avevo lasciato corista dal sapore country in lavori di Bonnie Prince Billy e riscopro, appena tre anni più tardi, artista completa e convincente. Un giudizio, quello su di lei, in aperto contrasto rispetto a quello con cui l’amico Lorenzo Righetto l’ha liquidata sbrigativamente su Ondarock. Il suddetto mi ha anche canzonato per la scelta, ma io resto convinto che la grossa cantonata l’abbia presa lui: certi commenti in rete mi confortano in tal senso. Piazza d’onore per un artista che “sorpresa” non è di certo, ma che non pochi fan hanno con poca lungimiranza abbandonato per strada. Jack White è uno dei pochi geni di questi anni, specie per quel che concerne la sua generazione. La sua via per l’attualizzazione di vecchi stilemi blues, soul e rock è tra le più credibili di questi anni anche se non siamo in molti a pensarla così (gli altri, temo, sono rimasti a cantare “Seven Nation Army” – oh pardon, “Po Popo Po Popo Pooo” – nelle loro curve mentali). Il terzo posto, beh, ha effettivamente del clamoroso: avrebbe forse meritato la prima piazza e moralmente se l’è aggiudicata. Parlo di quella cosa assurda che ha tirato fuori il tizio dei Minus 5, buttandola poi di fatto nel cesso senza promozione alcuna e senza una pubblicazione in formato CD. E’ comunque un quintuplo pieno di Americana coi fiocchi, un compendio che chiunque si professi estimatore dei Wilco non dovrebbe perdersi. E invece, anche qui sta il clamoroso, il disco in questione non se l’è cagato nessuno. Ma non parlo in esclusiva della sempre arretrata (e tamarrissima) Italia, bensì del mondo tutto. E non semplicemente in quanto a pubblico: sono gli “addetti ai lavori” che hanno dato buca. Nessuno ne ha scritto, da nessuna parte, tranne il sottoscritto che, vabbé, non fa testo. Certo, mandare a memoria tre ore e mezza di musica (superbe) era un bell’impegno, ma almeno provarci… Forse è meglio così, meglio il silenzio alle sentenze di chi ascolta un paio di volte, distrattamente, solo le prime 2/3 tracce (perché lo sapete che funziona così, no? Questa è la critica musicale oggi). A seguire King Creosote, che ha tirato fuori un album folk-pop stupendo, quindi i Reigning Sound, che hanno fatto lo stesso in ambito garage-revival al velluto, e Ariel Pink con un folle minestrone pop, frastornante. In un anno con parecchi lavori più che discreti, ma difficilmente davvero buoni, mi hanno lasciato migliori sensazioni le voci femminili: oltre alla Olsen e a St. Vincent (eponimo pregevole per lei) meritano una menzione Annika Norlin aka Hello Saferide (la sua “Berlin” è la mia canzone del 2014), la cantante (finalmente tale) dei Magik Markers, Elisa Ambrogio, due Julia dalla periferia dell’impero (l’aussie Stone, in coppia col fratello Angus, e la sorprendente polacca Marcell), l’incredibile voce dei rocker-psichedelici scandinavi Blues Pills, l’ex rockabilly Imelda May e diverse altre tra le quali, non l’avrei mai detto, una credibilissima Lana Del Rey. Il mio genere di riferimento, il garage, è andato piuttosto male, salvato giusto da vecchie volpi come Ian Svenonius o Billy Childish. Poca roba. Ma se alcuni “vecchi” han fatto il loro con la necessaria passione (dagli Shellac di Steve Albini a Anthony Newcombe dei Brian Jonestown Massacre, da Thurston Moore – bravo, non ci speravo mica – a Kozelek e Lanegan, Morrissey e Damon Albarn), c’è chi decisamente ha fallito. Parlo dei Blonde Redhead, che dopo “Penny Sparkle” erano all’ultimo appello ma non sono riusciti a evitare il mio trentatre giri di legno. Che strazio, pietra sopra.
E ora sotto con il 2015: già due album molto belli, il nuovo Decemberists e il ritorno dopo un decennio delle Sleater-Kinney. Il campione è troppo ridotto per essere attendibile ma mi piace pensare che sia in corso un’inversione di tendenza. Vedremo.
1. Angel Olsen ‘Burn Your Fire For No Witness’
2. Jack White ‘Lazaretto’
3. Minus 5 ‘Scott The Hoople in The Dungeon of Horror’
4. King Creosote ‘From Scotland With Love’
5. Reigning Sound ‘Shattered’
6. Ariel Pink ‘Pom Pom’
7. Alvvays ‘Alvvays’
8. Shellac ‘Dude, Incredible’
9. Spoon ‘They Want My Soul’
10. Sloan ‘Commonwealth’
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