Month: gennaio 2011

Piano Magic @ Hiroshima
12/11/2009 _ Il nostro (altro) concerto

 

 Ecco uno di quei concerti di cui conservo a fatica uno sparuto drappello di immagini e sensazioni, pallidissime in fondo all’ultimo cassettino della memoria. Davvero può essere stato tanto insignificante il più recente passaggio torinese dei Piano Magic? No, in effetti no. Anzi, tutt’altro. L’eco delle impressioni positive provate quella sera sotto il palco dell’Hiroshima si fa strada un po’ per volta, riportandomi una manciata di ricordi più concreti cui aggrapparmi. Da sole le fotografie direbbero poco, o forse no. Ecco, c’era Angèle David-Guillou, molto bella e frizzante, a compensare la non proprio formidabile emotività del leader, Glen Johnson. Lei sì che me la ricordo bene: ci ha fatto letteralmente scompisciare quando ha improvvisato ‘Beat It’ di Michael Jackson assieme ad un lanciatissimo Franck Alba, ridicolo assolo da virtuoso incluso nel prezzo. A Glen era partita una corda nella sublime sfuriata elettrica che aveva chiuso ‘Great Escapes’ e questa fu la pezza regalataci dalla spumeggiante francese per ingannare l’attesa, sotto lo sguardo indaffarato ed imperturbabile del cantante. “Vi piace Jackson?” aveva poi chiesto lei chiamando alla risata generale. E ancora:“A me il naso”. Le scarne note che mi ero appuntato quella sera assieme alla scaletta del live non potrebbero aiutarmi in alcun modo, ma non importa perché nel frattempo ho recuperato un’altra considerazione significativa partorita a caldo, forse ancora durante l’esibizione. Rimasi molto piacevolmente stupito dalla mezza rivoluzione sonora intavolata in quel tour dal gruppo di Londra. Reduce da una full immersion nella cupezza mai veramente amata di tanti loro album, non ultimo l’allora freschissimo ‘Ovations’, temevo che avrei trascorso quell’ora e mezza abbondante in compagnia di elettronica e coldwave macilenta, per quanto suonata da una band di altissimo livello come i Piano Magic. Chiariamoci, quella è la loro musica, nulla da eccepire. Solo – evidentemente – in quel periodo non è che ci andassi proprio pazzo. A togliermi dall’imbarazzo di una performance impeccabile ma narcotica pensarono loro stessi, attuando appunto alcuni accorgimenti stilistici sostanziali che hanno reso le loro canzoni estremamente pulsanti se non incendiarie. Molto più elettrici, molto meno elettronici di quanto previsto. Darkwave suonata con piglio inusuale, increspata sulla bella voce baritonale di Glen, con ampio spazio lasciato alle fantastiche digressioni dreamy e (in più di un caso) shoegaze della chitarra di Alba, eccellente sorpresa. Angéle, da poco tornata a farsi viva con un sophomore effort niente male del suo progetto collaterale Klima, si ritagliò una parte forse secondaria ma luminosa, poco invadente ma brillante per le essenziali coloriture di synth, delicata nei contributi di una chitarra extra, caricatissima alle prese con la drum machine e assai convincente nei limitati interventi vocali (su tutti quello in una versione tostissima di ‘Incurable’). Di momenti preziosi ora riesco a visualizzarne diversi: una fantastica ‘Silence’ (da ‘Writers Without Home’), anticipata non a caso da una richiesta di silenzio assoluto, con Alba a fare da batterista aggiunto ed un battito di mani ritmato anche da parte del non tantissimo pubblico; il drum ossessivo di tutta la band ad irrobustire ‘On Edge’, forse il più intenso dei nuovi brani (sugli scudi anche i metronomi umani Jerome Tcherneyan ed Alasdair Steel, il bassista dal look molto byrdsiano); Johnson intento a cantare stringendo nella mano un teschietto di plastica tipo quelli dei fascicoli ‘Esploriamo il corpo umano’; il tuffo indietro di venticinque anni con l’ottima cover dei Dead Can Dance che ha chiuso la serata con i meritati applausi. E poi naturalmente la David-Guillou, che nel presentare il gruppo prima dei bis ha insistito con la vena scanzonata: “Buona sera a tutti, siamo i Piano Magic. Grazie per essere venuti a questo nostro concerto di tributo a Michael Jackson”. Va beh. Non dovevo ricordare niente e invece ho allungato il brodo di quel tanto da farci un report quasi ortodosso. Segno che, effettivamente, proprio di uno di quei live da dimenticare non si trattava.
 
SETLIST:‘Recovering Position’, ‘The Blue Hour’, ‘Jacknifed’, ‘Dark Horses’, ‘Love and Music’, ‘Great Escapes’,‘Beat It’, ‘Incurable’,‘The King Cannot Be Found’, ‘The Faint Horizon’, ‘(Music Won’t Save You From Anything But) Silence’,‘Last Engineer’; ENCORE: ‘On Edge’,‘Advent’.

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Quasi @ Covo Club, Bologna
22-05-2010

 

O "La coppia libera del rock, parte terza". Non si piazzerà in cima alla classifica qualitativa dei concerti visti l'anno passato ma il live dei Quasi a Bologna è stato per il sottoscritto il più atteso del 2010 e, con ogni probabilità, degli cinque/dieci ultimi anni. Come ho chiarito nell'apertura della recensione su indie-rock.it, oltreché nei post precedentemente dedicati alla band di Portland su queste pagine, i Quasi sono un gruppo con cui non ho modo di essere obiettivo. Potranno anche essere scarsi o datati, la loro inevitabile marginalità potrà essere né più né meno quanto meritano dopo una vita di passione musicale, non lo so e nemmeno mi importa. Per me rimangono una realtà inarrivabile nel quadro del rock alternativo e avranno la mia gratitudine in eterno, anche dovessero impazzire e pubblicare di punto in bianco boiate R&B o spazzatura pop tamarra alla Chris Cornell. Nel pezzo scritto per raccontare l'evento, secondo passaggio italiano in assoluto (e primo dopo la bellezza di dodici anni), mi sono dilungato insistendo sull'inevitabile parallelo con i Pavement, visti dal vivo appena due giorni dopo ed in fondo legati al trio di Portland per più di una ragione. Il confronto, apparentemente impietoso per i Quasi, si è rivelato invece strumento prezioso per deporre a loro favore, in qualità di veterani che non hanno mai smesso di combattere la loro battaglia (e con stimoli degni di essere tradotti in dischi) sui palchi o negli studi di registrazione. Come ho già avuto modo di scrivere, anche il concerto romano dei californiani è stato grandioso ed anche per quei cinque mattacchioni provo un affetto ed una riconoscenza sinceri. Tuttavia, per svariati motivi, i Quasi ed il loro live sfigatissimo per pochi intimi si lasciano preferire. Il concetto l'ho chiarito in coda al pezzo: una prova scarduffata e passionale, costantemente in balia degli eventi e degli umori dei suoi umanissimi protagonisti, aperta dagli improperi di una Janet con la luna storta, pilotata dall'imprevedibilità ferina di un Sam letteralmente adorabile e chiusa dalle bizze tecniche occorse ad una Joanna perennemente tra le nuvole. Tralasciando l'effetto nostalgia, valso per me ed immagino per pochi altri, l'orgogliosa e caotica serata dei Quasi si è tradotta in un autentico pieno di emozioni. Su tutto l'impressione, dall'intervista al casuale incontro in pizzeria, dal concerto vero e proprio alle simpatiche chiacchiere di commiato, di trovarsi di fronte a persone vere e proprie, non star inaccessibili. Sembrerà un concetto banale ma, abituati ad assistere a decine e decine di live in maniera meccanica e con sguardo da critici, una premessa tanto semplice è sempre la prima che si tende a dimenticare. Ho dovuto ribadirlo, perché mi sono arrivate tutte le risposte giuste al momento giusto: mi piacciono perché sono rock nell'accezione più pura del termine, perché sono brutti e sporchi ma indiscutibilmente buoni, perché se ne fregano e vanno per la loro strada, perché cantano con franchezza ma senza cinismo ed in fondo mi somigliano, eccome. E poi perché tra la verve scoppiettante dei pezzi nuovi e la ferocia di certi recuperi non si sono dimenticati di suonare una 'Sea Shanty' a dir poco pazzesca, la parabola perfetta di un'identità che si terrà sempre e comunque dalla parte sbagliata della strada. O da quella giusta, dipende da come la si pensa.

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Oh, let me sail away…

Non posso non spendere qualche parola per Trish Keenan, che se n’è andata per sempre questa mattina, ancora molto giovane. Notizia assolutamente inattesa, veramente triste. Era ricoverata in ospedale da due settimane, per via di una polmonite giunta in concomitanza con il famigerato virus H1N1, contratto nel dicembre scorso durante il tour australiano della sua band. Per ironia del destino, della sua morte parleranno forse più i telegiornali generalisti inglesi che non le riviste specializzate: i Broadcast non hanno mai raggiunto il successo planetario, le copertine patinate, l’heavy rotation sui circuiti radio televisivi, pur avendo potuto vantare sia le canzoni che un’interprete dalle qualità straordinarie. Ad essere sinceri anche in ambito indipendente c’era chi si ostinava a considerarli dei doppioni poco interessanti degli Stereolab, proprio perché lanciati in casa Duophonic da Gane e dalla Sadier, per i mai celati debiti nei confronti dello storico gruppo anglo-francese nonché per l’aver condiviso con loro un paio di produttori ed il manager. Avevano comunque uno stile del tutto personale, inventiva sufficiente a farli camminare a lungo sulle proprie gambe. Almeno, così avrebbe dovuto essere. La firma con la mitica Warp, un esordio subito clamoroso, un sophomore effort ancora più convincente e poi altri passi riusciti, anche in direzioni nuove. Dopo un lungo silenzio erano tornati a fine 2009 con un progetto più marcatamente sperimentale, portato in giro per il mondo durante l’anno appena trascorso. Li avevo incrociati a marzo, in un concerto alquanto deludente perché troppo estremo e troppo poco broadcastiano. Ne avevo parlato di recente su queste pagine ed ora riposto il link alle foto di quella sera dall’ultima immagine in basso, sempre del live torinese alla Sala Espace. Le promesse per un ritorno anche discografico ben diverso c’erano comunque tutte ed è proprio il senso di inevitabile incompiutezza lasciato dalla morte di Trish a far male, oltre naturalmente al dolore per la sua esistenza spezzata troppo presto. Avrei voluto comprare dischi che non potranno mai pubblicare, avrei voluto rivederli dal vivo in un’esibizione finalmente all’altezza delle loro qualità. Invece i Broadcast sono finiti oggi. Non ne parleranno le televisioni per qualche speciale arrivato con colpevole ritardo, ma è quasi certo che il nome della Keenan farà capolino nei salotti degli inglesi come elemento curioso con cui infiocchettare il bollettino giornaliero di statistiche sull’influenza A, micidiale in Inghilterra nelle ultime settimane. Avevo riso quando Jens Lekman, dopo aver contratto quasi per primo il virus, lo sconfisse agilmente con un paio di settimane di riposo a casa. Se gli artisti che amiamo sono invulnerabili, forse lo siamo anche noi. Forse. Da brividi stasera ritrovare i non pochi presagi di morte incastonati nelle canzoni dei Broadcast, sempre trasfigurati, come nella meravigliosa ‘Ominous Cloud’: “Oh, devo andare via da questa città, non voglio dover guardare quelle nubi minacciose / Oh, non ora, non ora, non ora / Devo trovare un posto, essere me stessa ed imparare ad affrontare le nubi minacciose / Ma non ora, non ora, non ora”. Non ora, davvero, troppo presto per andarsene.  Buon viaggio Trish. 

   

Qualche nota sui tre LP dei Broadcast, escludendo le due raccolte di rarità, Ep e mini ed il recente lavoro con Focus Group. The Noise Made By People’ è un esordio anche piacevolmente scuro. Si impone come mistura brillante di elettronica dark ed atmosfere dream pop, con più di una concessione ai sixties meno stereotipati oltre alla già significativa cura per quel vintage sonoro di chiara deriva Stereolab. Preziose le sue inquietudini, intrigante l’insistere sui contrasti tra luci ed ombre, tra l’ariosità vocale di Trish ed i continui spifferi di un sound sempre in fermento. La cifra stilistica descrive una musica a più dimensioni, attenta alla melodia ma con costante ricorso alle dissonanze, alle sporcature sintetiche, alle sottili increspature psichedeliche. Brani consigliati: ‘Come On, Let’s Go’, ‘You can Fall’, ‘Until Then’, ‘Look Outside’. Con ‘Haha Sound’ il gruppo di Birmingham realizza il proprio lavoro più luminoso ed arrembante. Se i debiti nei confronti degli Stereolab sono sempre evidenti nella vena retro futurista e nelle cavalcate fantasiose, la band ci mette molto di suo perfezionando le proprie inconfondibili tonalità malinconiche, sfoderando scintillanti capacità di affabulazione, impasti dal retrogusto onirico ed una Keenan in vero stato di grazia. Brani consigliati: ‘Pendulum’, ‘Before We Begin’, ‘Lunch Hour Pops’, ‘Ominous Cloud’. Uscito nel 2005, Tender Buttons’ è destinato a rimanere il capitolo conclusivo dell’avventura Broadcast, con il suo bagaglio di intuizioni e promesse che non troveranno mai concreti sviluppi futuri. L’elettropop catchy si svincola pian piano dai vecchi registri, si fa più smaliziato ed adulto, senza rinunciare alle delicatezze retrò ma puntando comunque più deciso nella direzione di un’elettronica intelligente e piacevolmente noisy e di una scrittura più minimale ma non meno brillante. Brani consigliati: ‘I Found the F’, ‘Tears in the Typing Pool’, ‘America’s Boy’, ‘Black Cat’.

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La coppia libera del rock      _parte seconda

 

22 Maggio 2010, periferia nord-est di Bologna, zona San Donnino. Il momento dell'intervista è arrivato e sarà forse il più autentico della giornata dedicata ai Quasi, escludendo le emozioni ben diverse vissute al concerto qualche ora dopo. Certo si fa presto a dire "è arrivato". Dopo aver pascolato impazienti per oltre mezzora, nei giardinetti fuori dal Covo, finalmente avvistiamo il pullmino della band. Già discreto il ritardo, ma ci tocca aspettare ancora che i poveri musicisti abbiano spostato tutti gli strumenti nel locale, sù per la ripida scala di servizio. Un Sam traballante, una Joanna elegante e la solita Janet di granito, alle prese coi cassoni più gravosi. Il tutto sotto gli occhi indifferenti di qualche anziano in libera uscita dalla vicina bocciofila, mentre nel cortile interno i bambini scorrazzano o strapazzano al karaoke le canzoni di vecchi cartoni animati: senza dubbio i minuti più tristi dell'intera trasferta, fermi nel prato come betè a veder faticare i tre poveracci senza muovere un'unghia. In fondo è soltanto l'ennesima testimonianza di quanto sia dura la vita dei tanti rocker non ammessi in paradiso. A noi può far effetto ma loro, abituati da più di vent'anni alle scomodità degli artisti randagi, non sembrano patirne più di tanto. Dopo esserci segnalati a quello che dovrebbe essere il tour manager (nonché autista), con il vivo timore di dar fastidio, ci viene detto che hanno incontrato molto traffico da Monaco di Baviera (è sabato, fa caldo, la Romagna è vicina e di tedeschi ne abbiamo trovati tanti anche noi da Torino) e prima dell'intervista devono fare il soundcheck. Un'altra ora, ci sta. Dopo una bella passeggiata in un parco della zona, ci ripresentiamo all'orario stabilito ma il suddetto soundcheck non è ancora iniziato. Il gruppo, comprensibilmente, si è riposato e sgranchito un po' le gambe. Solo dopo un'altra oretta buona ci chiamano dicendo che è OK, possiamo finalmente entrare. La sala destinata all'incontro è un ambiente angusto, una stanzetta microscopica in cui riusciamo a malapena a entrare io e Lorenzo. Le nostre ragazze devono smorzare la curiosità e accettare il loro ruolo di semplici accompagnatrici. Ci siamo. Confesso che è davvero una grande emozione trovarmi al cospetto di quelli che per me sono autentici idoli, per quanto assai provati da quello spostamento troppo lungo. Loro appaiono come li ho sempre immaginati: Janet tosta, decisa ma anche molto dolce, ironica; Joanna in disparte, per quanto possibile in un posto del genere, con indosso il broncio della persona distante; Sam invece è Sam, sbiellato per davvero, con quell'aria arruffata ma divertente tipica degli individui simpatici, intelligenti, creativi ed imprevedibili. L'aspetto più bello di tutta la situazione è la genuinità degli ex-coniugi, non filtrata in pose, del tutto spontanea. Anche dalle loro risposte emerge come la stima reciproca, nient'affatto simulata, sia il vero ingrediente forte di connubio artistico imbattibile come il loro, insieme a quella "robustezza mentale" di cui parla lui. Mi piace come le mie domande vengono accolte, mi piace cogliere le argomentazioni nelle loro repliche ed apprezzo il modo in cui Bandit conduce l'intervista, puntuale e non passivo (io che non sono certo una furia come carattere né con l'inglese non ne sarei mai stato capace). Sicuri di aver fatto un buon lavoro nella preparazione, con interrogativi ad ampio raggio su passato, presente e futuro senza tralasciare una componente pià ludica ed interattiva, veniamo ripagati da alcuni spunti (di Sam come di Janet) tutt'altro che banali, specie a proposito di cosa significhi essere una giovane rockband oggi rispetto ad un paio di decenni fa e su come anche le aspettative del pubblico siano state rivoluzionate dall'impazzare del web. Le parole sono importanti – ci viene detto – ma è l'emozione di suonare, di sudare, di fare casino ad avere sempre e comunque il sopravvento. E' così che deve andare. Solo mezzoretta a disposizione ma l'intervista riesce bella, spontanea, stimolante. Alla fine anche Joanna si scioglie un po' e trasmette il piacere di far parte di una squadra ancora così pura. Cosa resta qualche mese più tardi? La gioia dell'incontro, di un sorriso, una stretta di mano. "No more empire!" e "Rock'n'roll can never die, yeah!". I complimenti non ruffiani di Sam per le mie domande, a fine concerto. Il suo bracciale col teschio, sintesi mirabile di tanti suoi vezzi e del suo entusiasmo così naif, abbondantemente fuori catalogo. Spero non debbano trascorrere altri dodici anni per poterli incontrare e veder suonare di nuovo. Magari anche solo in un bar un giovedì sera, a patto sia sempre per divertirsi. E a patto che a vederli ci siano più dei quaranta spettatori mal contati di quella sera al Covo Club, davvero troppo pochi per il primo ed unico concerto italiano in più di un decennio. Questa gente merita molto, molto di più.

 

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La coppia libera del rock      _parte prima

 

Il 2010 appena andato in archivio è stato in un certo senso, almeno infinitesimamente, anche l'anno di una delle band cui sono in assoluto più legato, i Quasi. Riequilibratisi in forma di trio dopo un passato a due prossimo ai vent'anni, questi veterani del rock alternativo sono tornati a farsi sentire in tutti i sensi: a livello discografico, con l'ottavo capitolo di una carriera ormai di tutto rispetto, distante quattro lunghi anni dal precedente 'When The Going Gets Dark'. E poi dal vivo in Italia, paese in cui Sam Coomes e Janet Weiss avevano suonato con altre formazioni ma dove mancavano come Quasi da ben dodici anni. In quanto primo fan italiano di uno dei migliori (in termini assoluti, non soggettivi) gruppi indie-rock tout court, non avrei rinunciato ad un evento del genere neanche si fosse tenuto in meridione, oppure in Francia o Svizzera. La scelta di Bologna come tappa unica e la vicinanza di date con la visita dei padrini del genere, i Pavement, mi hanno ulteriormente agevolato nella pianificazione di una trasferta che resterà scolpita nell'album dei ricordi. Per festeggiare degnamente questo duplice ritorno, ho voluto seguirli e parlarne in rete a tutto campo. Non solo con l'ovvia cronaca del concerto, quindi, ma anche a livello più ampio, in termini di attualità (con una recensione di 'American Gong' su Monthlymusic.it) e retrospettivamente. L'occasione propizia in tal senso mi è stata offerta dall'amico Lorenzo 'Bandit' Righetto, a conoscenza della mia malattia per la band di Portland: avendo ascoltato diversi dischi del gruppo o di formazioni ad esso collegati ed avendo in mente un viaggetto a Bologna per il live, il buon Bandit si è proposto per un'intervista al terzetto dell'Oregon e, parallelamente, per una ampia monografia sul passato dei due musicisti chiave dei Quasi, da estendere dunque anche alle esperienze (ormai concluse) nei Donner Party e nelle Sleater Kinney. L'invito ad un'estemporanea collaborazione è stato quantomai gradito. Non avevo mai scritto per Ondarock e dubito di farlo ancora in futuro (avrei potuto pensarci per i Ballboy, ma se ne sono già occupati). Certo l'eccezione rappresentata da questo duplice progetto si è rivelata troppo ghiotta per non approfittarne. Innanzitutto mi ha dato la possibilità di incontrare i miei beniamini e parlarci (non molto, per carità), quindi di fargli un minimo di pubblicità sul sito che, in ambito monografico, non ha rivali (né per completezza informativa, né per seguito di affezionati lettori). E proprio la mono voglio presentare in questo primo post dedicato ai Quasi. Per ragioni ovvie in un certo senso, come necessaria introduzione ad una di quelle realtà poco note nell'attuale scena musicale indipendente ma assolutamente degna di attenzione e rispetto. Scrivere questo lungo resoconto mi ha richiesto qualche giorno di febbrile entusiasmo, visti anche i tempi strettissimi imposti dalla redazione di Ondarock a Lorenzo, ma alla fine il risultato credo sia stato soddisfacente. Positivamente impressionato dalla scoperta delle Sleater Kinney, Bandit si è occupato proprio del trio all female di cui la Weiss è stata per anni colonna portante, mentre Francesco Nunziata ha curato l'introduzione relativa agli oscuri (ma fondamentali) Donner Party ed io ho avuto campo libero proprio sulla mia band adorata. Trattazione sempre contestuale, senza tralasciare il dovuto riguardo anche agli episodi apparentemente marginali nella discografia del gruppo. Abbiamo deciso di non dare voti, limitandoci ad indicare eventuali dischi consigliati. Nessuna "pietra miliare di Ondarock", anche se 'Featuring Birds' potrebbe rientrare a pieno titolo nella definizione, almeno per quanto concerne i gusti del sottoscritto. Esclusa la raccolta d'esordio, non avrei mai dato meno di sette, anche all'album più recente (e bistrattato), ma – si sa – non è che io faccia testo. Come ne ho parlato su tutti i siti con i quali ho avuto modo di collaborare, insisto a maggior ragione su questa che è la mia pagina personale a tutti gli effetti, senza la necessità – per una volta – di recitare la parte dell'imparziale. Tutto più semplice. Il consiglio di ascoltarli, per tutti quelli cui non ho ancora rotto le scatole personalmente, è spassionato. La speranza è di arrivare a costruire, con il passaparola, una base di estimatori un minimo più rilevante della cornice di pubblico che li ha incontrati a Maggio al Covo di Bologna. Come sostengono gli allenatori subentrati dopo l'inevitabile sconfitta all'esordio, da questo punto di vista c'é però davvero tanto lavoro da fare…

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